Roma, Teatro Ghione (Via delle Fornaci 37). Dall’1 al 19 febbraio 2017
Ci sono certe notti che non vorresti mai andar via dal teatro. Ci sono certe notti in cui le emozioni vissute durante uno spettacolo non riescono a farti prender sonno. In scena al Teatro Ghione fino al 19 febbraio, il nuovo spettacolo scritto da Antonio Grosso, Certe notti, appunto, è il risultato eccezionale della somma di più fattori. Testo, interpretazioni, regia (signori, che regia!), luci, musiche, movimenti scenici. Un’istantanea, magicamente rappresentata sul palco, di una notte generazionale, di quel limbo senza luce in cui i nostri giovani (termine che in Italia ha margini elasticissimi) sono relegati da un sistema ostile. Casa dello Studente de L’Aquila, uno dei simboli tragici di questa Italia del malaffare, del pressapochismo. Cinque studenti e un professore perfido, esponente di quel potere frustrato e frustrante con cui spesso si ha a che fare nelle nostre vite. Uno dei ragazzi, interpretato dallo stesso autore, affetto da autismo ma molto più ricettivo, attento ai segnali di cui gli altri, presi dalle proprie esigenze, non si accorgono. Ognuno è il tassello che compone un’intera generazione, bocciata dalla vita. Sogni repressi, scelte effettuate per accontentare i genitori, amori, paure, rabbia, esami insuperabili e la tentazione di prendere la strada truffaldina per uscire da uno stallo che sembra non finire mai. Una notte dell’animo, che si muove sempre sugli stessi passi, non avanza né indietreggia, splendidamente rappresentata dai movimenti ripetitivi, quasi goffi, di tutti, in quello che è un labirinto a vista, la scena strepitosa di Luigi Ferrigno. Non c’è via d’uscita e forse, paradossalmente, sarà proprio il terremoto che consentirà un nuovo inizio, facendo cadere anche le maschere di ogni protagonista.
Il nuovo spettacolo di Antonio Grosso segna una linea di demarcazione sorprendente nella sua produzione. C’è sì il filo rosso della commedia che diverte nelle battute, in alcune situazioni, ma in questo lavoro c’è un respiro (drammaturgico e scenico) più alto, più maturo, una rabbia che ci piace. La scelta di affidare la regia a Giuseppe Miale Di Mauro, un vero fenomeno, è la mossa vincente che in alcuni momenti trasforma la pièce in una performance artistica di assoluta bellezza. Il cast, rodatissimo, con l’unica novità di Rocio Munoz Morales, è di una naturalezza così piacevole da aver consentito a quest’ultima, alla sua prima esperienza teatrale, di apparire perfettamente inserita nel mood “grossiano”, ampiamente conosciuto da tutti gli altri bravissimi interpreti. Un lavoro corale, tutti sempre sul palco simultaneamente, che si esalta nei momenti d’insieme, quando la regia inventa per loro cambi scena di tale bellezza da rimanere attoniti. Il lungo finale inchioda alle poltrone. Ci sono certe notti in cui vorresti rimanere su quella poltrona, in platea, ad assaporare l’emozione, fortissima.
Paolo Leone