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Quando anche la scenografia si fa personaggio

Data:

In scena a Milano al Teatro Parenti dall’8 al 19 febbraio 2017

Una presenza che si impone all’apertura del sipario e resta protagonista per tutta la piece. E’ l’imponente struttura di legno di pioppo e vetrate, realizzata dal laboratorio del Teatro della Pergola, dietro cui giochi di luci e rumori possenti suggeriscono il via vai di treni, lo scorrere di finestrini illuminati, il passaggio di potenti locomotive. L’uomo dal fiore in bocca… e non solo di Gabriele Lavia, non è ambientato in un caffè vicino ad una stazione, come nella novella di Pirandello da cui è tratto (La morte addosso), ma dentro, nella sala d’aspetto e la grande vetrata ne è lo sfondo. I primi lunghi minuti all’inizio dello spettacolo sono ritmati dal potente e angosciante ansimare di una locomotiva: uno stantuffo insistente, incalzante e poderoso. La suggestione al tempo stesso della potenza inesauribile della vita e della inquietudine sul suo inafferrabile significato profondo.

Nella grande sala pervasa dall’incombere delle locomotive, l’orologio è senza lancette e le persone paiono rimpicciolite. Non a caso più tardi si dirà che “l’uomo non è mai così grande come quando percepisce la propria piccolezza”.

In scena a Milano al teatro Parenti dall’8 al 19 febbraio, dopo avere aperto la nuova stagione del rinnovato Teatro Niccolini di Firenze, lo spettacolo integra il monologo originale della novella pirandelliana, in sé molto breve, con le parti di altre, in cui si affrontano il tema della donna, dell’esistenza, della morte.

Un uomo, consapevole di avere poco tempo ormai da vivere, si intrattiene nella sala di aspetto di una stazione con uno stralunato viaggiatore (l’uomo pacifico e buono) che ha perso il treno. In realtà dialoga con se stesso, cercando una risposta ai propri interrogativi e alle proprie angosce.

Parla molto del senso della vita, il protagonista, con l’affanno di chi se la sente sfuggire tra le dita e con la sensazione di inseguire pensieri tra loro contradditori, alla vana ricerca di un senso compiuto. “La realtà di oggi apparirà come una illusione domani”. Ciononostante la fame di vita è irresistibile. I gesti dei commessi nel confezionare i pacchetti sono minuziosamente osservati, analizzati, descritti nella voluttà di godere ogni aspetto anche apparentemente insignificante della vita. Così i treni richiamano le belle città visitate in gioventù. E appare il rimpianto di avere vissuto come “un mulo bendato”, mentre invece il mondo chiama con energia e scorre come un brivido elettrico.

Parlano anche di donne, i due uomini. E, purtroppo, va detto. Perché, anche se non sono nel bar della novella originale, di quel livello sono le chiacchiere. “Le donne sono esseri incomprensibili”. Forse per questa superficialità il protagonista non capisce l’ostinazione della moglie (Barbara Alesse) che lo segue ovunque furtiva come unombra e, addirittura, si dichiarara pronta a morire con lui. Forse davvero è al di là della comprensione di molti uomini l’amore totale di cui spesso le donne sono capaci.

L’uomo pacifico e buono, dopo la lunga attesa per aver perso il treno, riesce a perdere pure il successivo: davvero la vita ci scorre davanti senza che noi si riesca ad afferrarne il significato.

Nonostante la struttura del racconto preveda articolate dissertazioni filosofiche, il personaggio di Gabriele Lavia è di sorniona e schietta semplicità ed eloquio colloquiale. Pervade la conversazione una sicilianità appena accennata ma sottolineata da alcune canzoni in dialetto, in verità non particolarmente pertinenti. Michele Demaria, l’uomo pacifico che ha perso il treno e porta con sé il bizzarro corredo dei venti coloratissimi pacchetti che ha saputo annodare (“due per ogni dito, sa”), restituisce una figura ingenua e divertente, a volte sinceramente stupefatta dai voli pindarici del suo sconosciuto interlocutore con cui intrattiene siparietti sapidamente grotteschi.

Guido Buttarelli

Adattamento Gabriele Lavia  con Gabriele Lavia, Michele Demaria, Barbara Alesse
Foto Tommaso Le Pera

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