Al Teatro Stabile di Catania
Della ricca produzione letteraria di Luigi Pirandello, che spazia dalle poesie ai romanzi, dalla drammaturgia teatrale alle novelle, è quest’ultimo genere che riscontriamo lungo tutta la vita dello scrittore. Se la prima raccolta dal titolo Amori senza amore, alla quale ne seguiranno altre tredici, risale al 1894, è nel 1922 che diede avvio a un’imponente impresa correggendo e riorganizzando i suoi racconti che furono pubblicati sotto il titolo di Novelle per un anno. L’intento era di realizzare 24 volumi contenenti 15 novelle ciascuno per un totale di 360, anche se non si escluse la possibilità di aggiungere altri 5 racconti, da inserire negli ultimi tomi, in modo da averne una per ogni giorno dell’anno. Un lavoro che durò per un lungo periodo e che fu interrotto a causa della sopraggiunta morte dell’autore agrigentino. Sebbene molte opere vennero pubblicate postume, alla fine il corpus contava 251 novelle.
Ed è proprio partendo da queste storie, brevi ma ricche di contenuti, che il Teatro Stabile di Catania decide di dedicare cinque appuntamenti, con due novelle per ognuno, al genio siciliano in occasione del 150° anniversario dalla nascita. All’interno della Corte del Castello Ursino ecco che prendono vita Zi’ Scarda e Ciàula, Zi’Dima Licasi e Don Lollò, protagonisti rispettivamente di Ciàula scopre la luna e La giara.
Un fondale semplice, composto da pezzi di stoffa uniti tra loro, e tre stand pieni zeppi di costumi compongono la scenografia; proprio come quando da piccoli, dando adito alla fantasia, usavamo lenzuola e coperte per costruire il nostro magico rifugio nel quale nasconderci dai pirati o far finta di essere immersi nel bosco.
Com’è potente l’immaginazione e in fondo è un elemento dal quale il teatro non può prescindere, lo stesso di cui lo spettatore necessita per immergersi nel racconto.
Lo spettacolo prende le mosse da una prova aperta in cui i sette attori, in un clima scanzonato, si preparano all’arrivo del copione, che giunge in scena in maniera plateale, custodito dentro una ventiquattrore. Si tratta forse di un omaggio ai Sei personaggi in cerca d’autore oppure semplicemente si è ricercata una cornice all’interno della quale collocare i testi? Non sappiamo dare una risposta certa nell’uno o nell’altro senso, ciò che sappiamo è che la presenza del copione costituisce un elemento d’intralcio. Il fatto di utilizzarlo durante la recita distrae lo spettatore allentando la tensione scenica, soprattutto perché mentre al centro del palcoscenico ha vita l’azione ai lati opposti, gli attori leggono le novelle. Una scelta, che a nostro parere è azzardata, e che sembra danneggiare gli stessi attori; non è un caso, infatti, che i momenti più belli e intensi siano quelli nei quali si lascia spazio all’interpretazione. Il cast d’attori d’altra parte è composto da eccellenti artisti, come Giorgia Boscarini, che porta sulla scena lo stupore che sconvolge Ciàula di fronte alla bellezza della luna o il modo in cui Silvio Laviano ricrea, con la fisicità, le deformità di Zi’ Scarda. A pagare è certamente la creatività, l’idea di trasformare un telo, plasmandolo a proprio piacimento in una miniera, è vincente.
Anche ne La giara ad emergere è il carattere istrionico di Angelo Tosto, il quale oltre che attore per l’occasione ricopre il ruolo di adattatore e regista, e di Giampaolo Romania rispettivamente nei panni di Don Lollò l’uno e di Zi’Dina l’altro.
Alla fine come sempre prevale la parola nuda, più di ogni altro artificio, quella parola che pronunciata dalle labbra d’interpreti talentuosi dà vita al gioco più bello, il teatro.
Laura Cavallaro