Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, Teatro Poliziano, domenica 16 luglio 2017
Un musicista un po’ dimenticato Antonio Salieri (Legnago, 18 agosto 1750 – Vienna, 7 maggio 1825), non ricordato di solito per le sue indubbie qualità artistiche, ma casomai in quanto personaggio di quel famoso film, Amadeus, il cui unico intento era quello di mostrarlo come il principale antagonista di Mozart. Giusto dunque il tributo che gli fa quest’anno il Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, che mette in scena l’opera buffa Il Mondo alla Rovescia, lavoro rappresentato per la prima volta al Burgtheater di Vienna nel 1795 su libretto di Caterino Mazzolà, che a sua volta si era ispirato al libretto Il Mondo alla Roversa, scritto da Carlo Goldoni nel 1750 per la musica di Galuppi.
Trattandosi di un’opera non molto conosciuta, è d’obbligo parlare preliminarmente della trama, di certo d’inventiva. Si immagina, per l’appunto, un mondo alla rovescia, in cui le donne comandano e gli uomini subiscono e dove, dunque, sono le donne a corteggiare gli uomini e non viceversa. In questo scenario si muovono la Generala, colei che ha i gradi più alti, e Colonnella, che dall’alto della sua posizione sottostà comunque alla prima citata. Non a caso i nomi sono di origine militare, visto che si raffigura le donne in quanto vere e proprie soldatesse. In questo stravagante mondo giungono però per caso dall’Europa il Conte e la Marchesa, due occidentali che rispecchiano gli archetipi che siamo abituati a conoscere. È così che la Marchesa, seppur bella, non viene corteggiata da nessuno e solo nel finale dovrà essere lei a farsi avanti con Amaranto, nipote della Generala, per farlo suo e convincerlo a ritornare in Europa con lei. Dal canto suo, la Generala, attempata e non graziosa come l’altra, si è innamorata del Conte e lo corteggia desiderando in ogni modo di sposarlo. L’uomo però, che intanto si è adattato agli usi del luogo effeminandosi, è rapito dalla Colonnella, amore corrisposto al quale chiaramente la Generala si ribella, cercando di mettere ai due i bastoni tra le ruote. Alla fine l’assalto da parte dei militari europei, venuti a liberare i due dispersi, costringe le due parti a un armistizio, che concederà al Conte di sposare la Colonnella, rimanendo lì con lei, e alla Marchesa di tornare a casa con Amaranto. Si aprono le porte, proprio alla fine, anche a una relazione tra la Generala e il Generale degli europei, con il loro ultimo spiritoso bacio rubato.
Un dramma giocoso molto divertente, che ci ha strappato non poche calorose risa; un dramma che gioca molto sugli stereotipi dei personaggi e dove quindi scenografia e costumi, entrambe creazioni dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, hanno avuto un ruolo fondamentale. È stato spassoso vedere gli uomini vestiti da donne e le donne da uomini, con indosso costumi di pregiata fattura in linea con il tempo storico della creazione dell’opera e che risaltano allo sguardo. La scenografia è varia e si sfruttano dei bei fondali dipinti – ai quali a volte si affacciano sagome di animali – che cambiano più volte, avvalendosi anche di un elegante “schermo”, che “proietta” le figure dei cantanti nel momento in cui essi vi passano dietro, dando luogo in certi casi a una dimensione televisiva. Molto riuscite sono le scene corali, come quella di apertura del secondo atto, che ci presenta il gruppo di uomini intento a forgiare le armi in vista di una guerra che le donne combatteranno, con tanto di ruota che gira nel fondo del palcoscenico. Ieratica invece la scena dell’arrivo del Gran Colombo (Andrea Jin Chen), lo sciamano purificatore, rappresentato pieno di piume, aereo come un uccello e immerso in un’atmosfera mistica.
Ottima la prova dei cantanti. Si percepisce un grande feeling tra di loro, che gli permette di essere sciolti sia a livello vocale che a livello d’espressività teatrale. In questo senso cito senza dubbio la prova della Generala, un Claudio Mugnaini en travesti, e quella della Marchesa Adina Vilichi, un vulcano di vitalità. Allo stesso modo è bravo anche l’istrionico Alfonso Zambuto nel ruolo di Amaranto, mentre emergono soprattutto per il loro timbro vocale e per una sottile espressività il Conte Francesco Samuele Venuti e la Colonnella Eleonora Contucci. L’uno ci fa divertire con il suo profondo timbro da basso, soprattutto quando lo utilizza con quella elegante veste rosa femminile e con uno specchio tra le mani che ammira con vanità; l’altra ci delizia con il suo bellissimo e lirico timbro da soprano, profondo, melodico, ammaliante. Sul palco sono presenti inoltre l’Ajutanta maggiora Cecilia Bagatin e il modista Girasole (Fabio Marchesi), che in modo buffo s’inseriscono nelle vicende dei protagonisti. Presente, come già accennato, anche il potente baritono Jin Chen, nei panni sia del Gran Colombo che del Colonnello degli europei.
Buone anche le parti corali, spesso presenti durante la rappresentazione, dove il tenue carattere degli uomini si scontra con il tono militare e duro femminile.
Ottima la prova dei cantanti, come del resto lo è stata quella dell’Orchestra Poliziana, guidata dalla giovane Domenica Giannone, che riesce a fare suonare l’ensemble in modo sciolto, fluido, brillante, facendoci assaporare in tutto e per tutto la bellezza melodica di Salieri, che farà da scuola a quel Rossini che arriverà da lì a poco. La limpidezza sonora di quest’opera è eccezionale e l’Orchestra e la Direttrice sono riuscite e mantenere la freschezza di queste note, che ci deliziano dall’inizio alla fine in un susseguirsi di stupore e divertimento.
È organica e ben congegnata la regia di Matelda Cappelletti, che sapientemente amplia lo spazio scenico alla platea e ai palchi, utilizzandolo le citate aree per varie scene. La prima viene utilizzata per alcune entrate, come quella della Colonnella e come quella più spettacolare dell’esercito delle soldatesse. I secondi vengono utilizzati in altre occasioni, per esempio nel momento della romantica serenata, che costringerà, con l’arrivo della Generala, i musici – dei membri dell’Orchestra – e il Conte a fuggire, uscendo di corsa proprio dalla platea.
Un’opera ben riuscita in tutte le sue parti e allora non posso dire altro che “Chapeau!”, complimentandomi con il Cantiere che ogni anno mi reca sempre qualche lieta sorpresa.
Concludo con una considerazione sociale su questo lavoro, che quando fu composto fu visto, credo come un semplice divertissement, che sicuramente allietò il pubblico, che poteva vedere capovolta l’identità dei sessi. Oggi non possiamo più parlare di gioco, perché questa tematica è ormai sicuramente attuale, visto e considerato che le donne, pian piano e per fortuna, sono riuscite a ottenere i propri diritti. Però, e mi piace pormi una serie di domande, è giusto che per farlo esse si stiano mascolinizzando perdendo in certe occasioni anche la propria femminilità? Che cosa sta facendo l’uomo in tutto questo? Perché anche lui sta perdendo la sua essenza? Ciascuno a mio avviso è importante in egual misura, ma in modo differente e l’uno non dovrebbe prendere il posto dell’altro. Non sarà pericoloso andare in questa direzione? Queste sono solo domande, a cui ognuno potrà dare una propria risposta.
Stefano Duranti Poccetti