“Star Wars: Gli ultimi Jedi”: ritorno al passato

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L’ottavo capitolo della saga di Guerre Stellari, Star Wars: Gli ultimi Jedi, pur con il passaggio del timone da J.J. Abrams a Rian Johnson, conferma quanto già visto nel precedente Il risveglio della forza, e cioè una stretta parentela (forse fin troppo) di questa nuova serie, sia a livello stilistico che narrativo, con la trilogia storica (episodi IVVI), e un conseguente distacco dalle atmosfere più algide e cupe –da più parti definite dark– della trilogia prequel (episodi I-III), che tanto avevano spiazzato, e in molti casi scontentato, i fan della prima ora. In questo nuovo progetto, forse anche in virtù dell’ingresso della Disney (che ha acquistato la Lucasfilm nel 2012), la saga ha recuperato quella dimensione avventurosa e favolistica, con non rari tocchi umoristici, che aveva fatto la fortuna della prima trilogia. Il ritorno in scena dei vecchi personaggi è stato congegnato con grande cura: un’abile “operazione nostalgia” di sicura presa sui cuori degli appassionati. Ma funzionano anche le “nuove leve” del Bene, che hanno pure le facce giuste: la giovane Rey, quasi una versione al femminile di Luke; gli “eroi comuni” Poe, Finn e Rose. Abbastanza convincenti anche i “cattivi”, ossia il Leader Supremo Snoke, l’ambizioso generale Hux e il giovane e tormentato Kylo Ren (alias Ben Solo, figlio di Han), il vero antagonista della serie, erede morale ed emulo di Darth Vader del quale, però, al momento, non possiede la statura: per raggiungere il suo idolo manca ancora qualcosa, che solo la sceneggiatura del prossimo e ultimo atto potrà eventualmente aggiungere. Pur mantenendo viva la componente mistica della storia (la religione Jedi, il dualismo Forza/Lato Oscuro), questa trilogia sequel –almeno fino a questo punto- non punta a lanciare messaggi al Mondo o a fare dell’alta filosofia, concentrandosi invece su ciò che, in fondo, si richiede a Star Wars: offrire intrattenimento puro con storie in grado di far sognare.

Rispetto a Il risveglio della forza, quasi una copia carbone –al tempo stesso un remake e un reboot– del primo Star Wars, Gli ultimi Jedi mostra un maggiore sforzo creativo, che non lo affranca comunque dal debito esplicito nei confronti dell’illustre modello (cioè la prima trilogia): tutto -personaggi, situazioni, tematiche- rimanda in continuazione al passato. Il che, però, visto il risultato, non è necessariamente un difetto. Tra gli elementi più interessanti offerti da questo secondo atto c’è senz’altro l’importante presenza di Luke Skywalker (ne Il risveglio della forza lo si vedeva soltanto nella scena finale), che qui acquisisce un carisma e uno spessore mai avuti prima; inedito anche il notevole rilievo assunto dai personaggi femminili, che fanno di Gli ultimi Jedi il capitolo più “in rosa” dell’intera saga di Star Wars: la nuova protagonista Rey, che qui comprende finalmente il vero significato della Forza; l’indomita Leia Organa (nell’ultima interpretazione dell’attrice Carrie Fisher, prematuramente scomparsa nel dicembre 2016); la coraggiosa Amilyn Holdo, viceammiraglio della Resistenza; la giovane Rose, pronta a tutto pur di difendere la causa. Per il resto, Gli ultimi Jedi mantiene la linea stilistica tracciata dal capitolo precedente, che è poi la riproposizione della vecchia, cara ricetta classica di Star Wars: narrazione fluida e leggera, avventure epiche, azione, sentimenti (compresa la commozione), alleggerimenti comici, calore, colori. Gradito ritorno, con un breve cameo, anche per l’intramontabile Maestro Yoda, uno dei personaggi più amati dell’intera saga.

Niente di nuovo sotto il sole, insomma, eppure la storia è ancora in grado di appassionare, e ciò dimostra che l’innovazione non è né un obbligo né una condizione necessaria e imprescindibile per poter rinverdire i fasti che furono: ci si può riuscire anche rispolverando il passato, a patto che lo si faccia con gusto e intelligenza, come in questo caso. Star Wars ha ancora tante cose da raccontare (una su tutte: chi sono i genitori di Rey?) e, se riuscirà a farlo efficacemente, che importa se la strada scelta sarà già stata percorsa in precedenza? Come direbbe Woody Allen, Basta che funzioni. Mentre George Lucas, con la trilogia “centrale”, aveva deciso di dare un taglio netto al passato e trasportare la saga di Star Wars in una dimensione più adulta e complessa, operando in un certo senso una mezza rivoluzione, la strategia delle menti dietro a questa terza trilogia appare altrettanto chiara quanto diametralmente opposta: portare a compimento una transizione morbida e graduale tra il vecchio e il nuovo corso, evitando così di disorientare gli appassionati e dando loro il tempo di metabolizzare il cambiamento con la somministrazione di una “pillola a rilascio graduale”. Se cercate innovazione e sperimentazione –due parole-chiave del credo artistico di Lucas, che infatti non ha per nulla apprezzato Il risveglio della forza– passate pure oltre: la terza trilogia di Star Wars ha scelto di giocare sul sicuro attingendo nuova linfa vitale direttamente dal suo glorioso passato, forse anche in previsione –chissà- di nuove trilogie future da sviluppare una volta giunti a compimento la presente trilogia sequel e il progetto parallelo degli spin-off. Il Nuovo avanza, sì, ma senza fretta e nel solco della tradizione…

 Francesco Vignaroli

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