“Claustrata insania (?)”. Lirica di Massimo Triolo

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Claustrata insania (?)

 

Quanto angusta è questa terra che tempra,

e un’anima setaccia, silente e incolore,

dogliosa e inadorna.

Cosa giace nel cuore della pietra,

nel velo rosso dei fiori in fiamme?

Le parole smarriscono la rotta,

inspessiscono dolori

simili a piccole sommosse di uno spirito.

Parvente m’è un canto, di verde smeraldino,

lambito da nebbie evanescenti.

Chi custodisce il grido e lo spasmo

di queste mani simili a sdutte, pallenti foglie?

Aduso al giorno è il mio canto

vibratile come sentiero fumigante nella calura

di un agosto intollerabile che tutto candisce.

Tormentavo la veste – troppo candida

per queste spoglie grate alla mortalità –

con le mani posate in grembo,

e non osavo voce nel luogo

in cui la pena ha un grido opaco.

Di là da sbarre e succinte feritoie,

florida danzava primavera,

e dentro portavo l’inverno ancora

di un silenzio greve e ottuso,

ferita su ferita, alla vista imbandito.

Soglia non pietà né sdegno,

presso questi stracci d’ossa

che sognavano il calore di una mano,

pelle che fosse prebenda al cuore adusto,

e giorni più liberi che in questo vivente sepolcro.

Prima che la carnata balbuzie dei vostri cuori

reciti l’a-b-c dell’intolleranza

presso i miei giardini di polvere,

non eserciti di vigorose parole vi volgerò

né oboli di pianto né lambicchi,

ma l’ignudata filigrana della mia umanità –

sola rotta, essa, non mai rinunciata.

La molta parte di ciò che mi era sottratto,

ancora dimora il suo saldissimo, mago cerchio.

Massimo Triolo

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