Per soli due giorni va in scena al Teatro Miela di Trieste “74 giorni sospesi – Il naufragio di Ambrogio Fogar e Mauro Mancini”

Data:

Trieste, Teatro Miela, 5 e 6 aprile 2018

“Ambrogio Fogar è uomo coraggioso, equilibrato, buono. Ci siamo fatti compagnia con grande fermezza d’animo e questo è già qualcosa.”

L’essenza di quel che avvenne tra il 19 gennaio e il 2 aprile 1978 sulla zattera che accolse Ambrogio Fogar e Mauro Mancini dopo il naufragio del Surprise (un 11 metri in legno del 1968) è forse in queste poche parole, scritte da Mancini alla moglie poco prima di morire ed è anche il distillato di “74 giorni sospesi” il libero adattamento realizzato da Luca Rodella da “La zattera” di Fogar stesso.

Con la stessa barca il non professionista della vela, nato a Milano ma di origini triestine aveva compiuto nel 1973, primo italiano nella storia, il giro del mondo in solitario “controvento”; fu  giudicato da molti anche in seguito, dopo altre imprese, uno “spaccone contaballe”, ma pure un novello Icaro meritevole di pagare per la propria Hybris l’arroganza di chi si mette contro le forze divine e naturali più grandi e potenti di qualsiasi mortale.

Quelle che a molti apparivano come bravate di un incosciente erano piuttosto espressione di un’urgenza, del bisogno di “misurare costantemente le proprie forze”, di cercare il rischio per potersi definire.

Al centro della scena è appesa una zattera gonfiabile, di quelle che in barca si spera di non dover mai aprire e due leggii sono disposti ai lati; tra essi due parti di scafo con funzione di sedili per Ivan Zerbinati (Ambrogio Fogar) e Alessandro Mizzi (Mauro Mancini) che rievocano con rispetto e attenzione la vicenda avvenuta quarant’anni fa a partire dalla partenza del primo da Castiglione della Pescaia passando per l’imbarco del secondo avvenuta a Mar del Plata in Argentina.

Il giornalista toscano, di tredici anni più anziano, aveva colto l’occasione per vivere per la prima volta un’avventura estrema sull’Oceano con l’intenzione di fotografare Capo Horn: avrebbe dovuto essere un “passaggio” fino a Ushuala per poi tornare indietro via terra e lasciare Fogar che prevedeva di circumnavigare da solo l’Antartide. Dopo una decina di giorni, a causa di un lieve danno allo scafo decisero di comune accordo di tornare indietro, ma furono attaccati da un branco di orche che colpirono lo scafo fino a squarciarlo.

È l’inizio del dramma: sopravviveranno per settantaquattro giorni andando alla deriva nella scialuppa gonfiabile sulla quale erano riusciti a portare soltanto una confezione di pancetta e un po’ di zucchero. Dovranno imparare a “comprendere” quell’ambiente ridotto al minimo e dal fondo leggero, ordinando lo spazio e stando fermi il più possibile per risparmiare cibo ed energie, per “vivere almeno finché durerà la zattera”.

Prima di allora non si conoscevano benissimo. Quei giorni li resero amici.

Le due diverse personalità si compensarono integrandosi per dar vita a un sostegno reciproco: Fogar più fiducioso nella benevolenza del Cielo, Mancini dotato di maggior concretezza; l’uno capace di trascendere dalla contingenza, l’altro consapevole dei rischi derivanti dalla mancanza di cibo e di acqua. Quando i due uomini vennero salvati da una nave greca avevano perso quaranta chili ciascuno.

La messinscena si conclude a quel punto, evitando così di sporcare la poesia creata dai due attori con le polemiche che seguirono. Dopo due giorni Mauro Mancini morirà senza riuscire a rivedere la moglie.

Alla fine dei lunghi e meritati applausi Alessandro Mizzi conclude la serata con le parole di Ambrogio Fogar: “ È  un’esperienza che può servire anche a chi non naufragherà mai. Ciò che conta è la volontà di vivere, di non arrendersi e continuare. Siamo tutti su una zattera.”

Paola Pini

Trieste, Teatro Miela
5 e 6 aprile 2018
 
74 giorni sospesi – Il naufragio di Ambrogio Fogar e Mauro Mancini
 
Con Alessandro Mizzi e Ivan Zerbinati
Regia di Massimo Navone
Libero adattamento di Luca Rodella da “La zattera” di Ambrogio Fogar
Produzione Bonawentura

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