CROCE E DELIZIA. E’ tutta una questione di punti di vista

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E’ tutta una questione di punti di vista: apre Jasmine Trinca il film, rivolgendosi ad un neonato dell’asilo di cui è la direttrice: “Quando soffrirai di crisi abbandoni che almeno saprai di chi è la colpa: della tua famiglia”, parlando con il bimbo ma parlando di sé. Come già nel convincente Moglie e Marito, Godano continua a studiare la famiglia declinandone tutte le sfumature post-moderniste, ma soprattutto mettendone al centro dell’attenzione le dinamiche stranianti soprattutto se riferite ai diversi punti di vista che ne animano il nucleo. E già da quell’incipit, l’opera seconda di Godano assume quasi i tratti della commedia francese, la culla dello scontro di classe al cinema: perché si, se la miccia narrativa che fa deflagrare gli scontri è l’annuncio di un matrimonio omosessuale tra Tony (Fabrizio Bentivoglio), attempato mercante d’arte, e Carlo (Alessandro Gassman), ruspante pescatore, lo sguardo di Godano, mai banale, non si ferma ma miscela con disinvoltura la lotta tra ricchi e poveri (che da qualche film, e qualche anno, sembra riprendere più vigore e senso nel cinema italiano) e la differenza di vedute sociali, un cortocircuito che riguarda non solo i poli opposti delle famiglie ma anche i singoli componenti. Ognuno con un suo modo di approcciarsi all’evento, ognuno con un punto di vista difendibile e quantomeno condivisibile: con la finezza di fissare i due poli opposti -l’isteria e la quasi noncuranza- nei due figli di Carlo, il primo che reagisce con smodata frenesia non riuscendo neanche a dire la parola “frocio” riferita al padre, il secondo che neanche ci fa caso, ma sul finale guarda con spensierata leggerezza il bacio fra i due.

Croce e Delizia, seppur narrativamente sbrigativo in alcune parti e probabilmente a ragione, restituisce un affresco reale e mai di maniera, senza mai affondare nel moralismo o nel clichè, ma soprattutto scrivendo personaggi tridimensionali con un percorso psicologico ben preciso: caratteri che cambiano col cambiare della percezione del fenomeno, rancori del passato che riemergono a fatica e poi travolgono, insomma ritratti umani verosimili e sinceri, intagliati con intelligenza all’interno di quell’arazzo complessivo che è la famiglia, vera croce e delizia del (cinema) italiano, sempre pronta a nascondere le proprie colpe, sempre pronta a mostrare le ferite, sempre pronta a consolare e a rabberciare tutto in un sorriso, in uno sguardo, in un ballo di gruppo.

È ormai sicuro, poi, che Godano abbia l’abilità di tirare fuori il meglio dai suoi attori: se nella precedente opera d’esordio misurava le smorfiette della Smutniak, qui riesce a far compiere un sorpasso. Perché se Bentivoglio assume, in alcuni momenti, tratteggi fin troppo manierati da “checca”, Gassman regala una prova maiuscola che annienta quella del collega, in un concentrato di sguardi, fremiti, pulsioni, un recitare sottopelle e con un coinvolgimento emotivo massimo. Prova egregia che fa il paio con quella di Jasmine Trinca, sempre brava a sottolineare quelle inconfessate fratture interne che difficilmente si risanano ma che abilmente e dolorosamente si rimettono sotto il tappeto, in un confronto/scontro con il padre padrone, figura cara a Recalcati, un padre egocentrico che alla fine svela il suo bisogno di essere adottato.

GianLorenzo Franzì

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