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GEMINI MAN: la recensione del nuovo film di Ang Lee in cui Will Smith sfida Will Smith

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Quando l’infallibile killer Henry Brogan (Will Smith) decide di ritirarsi, i suoi superiori vogliono terminarlo: essendo però il migliore del suo campo, potrà essere soppresso soltanto da… se stesso. L’infido Clay Verris (Clive Owen), che un tempo lo addestrò, gli mette dunque alle costole un clone realizzato in laboratorio: aiutato solo dall’amico Baron (Benedict Wong) e dall’agente Danielle Zakarweski (Mary Elizabeth Winstead), Henry dovrà venire a capo della situazione.

Bisogna dare atto ad Ang Lee che è uno dei pochi cineasti a mettere in discussione lo status quo tecnico cinematografico. Gemini Man è un lungometraggio concepito per attirare l’attenzione sulle sue tre principali prodezze tecniche, due delle quali non nuove ma che in questo caso lavorano in sinergia con la terza. Lee aveva già sperimentato la ripresa a 120 fotogrammi al secondo abbinata al 3D nativo con il precedente Billy Lynn.

L’idea di Lee è che, combinando l’High Frame Rate con il 3D, si trascini lo spettatore nell’azione, quasi abbattendo la barriera dello schermo, tirando in ballo il concetto di “realismo” . Nelle sequenze d’azione estreme di Gemini Man, lo sforzo paga, è impossibile negarlo: l’occhio che può essere abituato a una tale fluidità e nitidezza nei videogiochi o nella recente tendenza di YouTube ad aprirsi ai 50 e 60fps, rimane spiazzato dal vivere quest’esperienza sul grande schermo. Non ci spingeremmo enfaticamente a considerare l’High Frame Rate in 3D come il futuro del cinema, ma non c’è motivo di non accogliere questa combinazione come un altro dei mezzi a disposizione dell’arte che seguiamo. Sembra quasi di anticipare la grafica dei game della futura Play Station 5, in uscita a dicembre 2020, per la qualità in cui sono girate le scene d’azione, predominanti in una pellicola come Gemini Man.

Hollywood ci chiede di accettare la versione sintetica di un attore conosciutissimo, come se fosse una persona in carne e ossa, presente in scena. Il giovane Henry infatti non è stato ottenuto con tecniche di de-aging digitale su Will Smith cinquantenne, bensì ricreando da zero un modello in CGI dell’attore quando aveva vent’anni, mosso però in performance capture da lui stesso, in post-produzione. Una mossa rischiosa che a questo giro sembra funzionare, e non ci sembra nemmeno tanto surreale questa lotta di Will Smith a 23 anni contro la versione attuale di se stesso, giunto alla soglia dei 51 anni.

Tra High Frame Rate, 3D e attore digitale, Ang Lee sfida dunque la nostra percezione dell’audiovisivo in un solo film.

Si ringrazia per la visione del film il cinema Plaza di Napoli ( in zona vomero)

Voto: 6 1/2

Marco Assante

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