Trieste. Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Assicurazioni Generali, dal 20 al 24 novembre 2019
- Come dar prova di ottima interpretazione in un’esilarante piéce comica in cui tutto si gioca sul perfetto rispetto di tempi, svelandone al contempo il meccanismo;
- Cosa succede dietro le quinte: l’unione perfetta tra la vita reale dei teatranti (attori, regista, tecnici) che complica, ma non altera la contemporanea attenzione alle entrate e uscite di scena di uno spettacolo complesso;
- Quanto pesa, nella storia di una compagnia, la convivenza forzata in tournée e le conseguenze sul palcoscenico del logoramento nei rapporti.
I tre atti di “Rumori fuori scena” di Michael Frayn sono gestiti in modo funambolico indistintamente da tutti gli interpreti della Compagnia del Teatro Stabile di Torino, sorprendendo con costanza il pubblico del Rossetti di Trieste con un continuo innesco di gag che si rincorrono in modo incessante dall’inizio alla fine, senza dar tregua allo spettatore ma concedendo con naturalezza il tempo per apprezzarle tutte.
La magia del teatro è svelata in tutta la sua grandezza, indissolubilmente unita alla miseria umana, senza la quale perderebbe di significato.
Si ride in modo del tutto liberatorio e con estrema serenità perché qui nessuno subisce alcun malevolo giudizio, e le fragilità umane sono esposte con leggerezza e affetto, seguendo il modo anglosassone di far ridere senza offendere.
La possibilità di riflettere c’è e si muove in profondità, lasciando allo spettatore la libertà di coglierla o meno, dal momento che può anche semplicemente lasciarsi andare al divertimento e uscire da teatro sazio di emozioni, contento e soddisfatto.
Ma non è scontato avere il privilegio, quando non si è all’interno del mondo teatrale, di osservare ciò che a livello artistico, tecnico e umano si può celare nel corso di una prova generale o la verità nascosta dietro le quinte mentre sta andando in scena uno spettacolo, o ancora quali siano le conseguenze di una lungo giro di date di un allestimento che di mese in mese si porta in luoghi diversi e precari, con una costanza di tensione dovuta prima di tutto da un mestiere in cui l’imprevisto è la regola e la ripetitività delle battute nasconde e si interseca con stati d’animo sempre diversi.
La compagnia diretta da Valerio Binasco, che in scena rappresenta, ovviamente, il regista riesce a dar conto di tutto questo senza smettere mai di divertire, mettendo in esposizione i caratteri e le idiosincrasie degli attori/personaggi: la paura di sbagliare di Dotty Otley/Sig.ra Clackett (Milvia Marigliano), attrice di lunga data che investe anche finanziariamente sullo spettacolo e insiste nel far scritturare l’anziano Selsdon Mowbray/Uno scassinatore (Fabrizio Contri), notoriamente dedito all’alcol; le capacità imporvvisative di Garry Lejeune/Roger Tramplemain (Andrea Di Casa) che sostiene amorevolmente la donna ingelosendosi per le attenzioni che Frederick Fellowes/Philip Brent/Uno sceicco (Nicola Pannelli) le rivolge tra una riflessione e l’altra sul senso delle sue battute; la natura volubile di Lloyd Dallas/ il regista (Valerio Binasco) che divide in modo maldestro le attenzioni tra la giovane e svampita Brooke Ashton/Vicki (Francesca Agostini), incapace di gestire i contrattempi sempre più serrati nello svolgimento della replica e l’altrettanto giovane ma efficiente Poppy Norton Taylor/l’assistente alla regia (Giordana Faggiano), ben più consapevole e sensibile; la capacità empatica, incautamente gestita di Belinda Blair/Flavia Brent (Elena Gigliotti) sempre al corrente di ogni dinamica sentimentale del gruppo; la totale disponibilità di Tim Allgood, direttore di scena (Ivan Zerbinati) costretto suo malgrado a reggere sulle spalle il peso di ogni potenziale catastrofe sulla scena e dietro ad essa.
Il segreto della bellezza del teatro è stato svelato.
Riusciremo a dimenticarcene la prossima volta in cui entreremo in sala?
Sì, di certo, perché anche in questo sta la potenza di un’arte umana essenzialmente radicata in noi.
Ma, in un angolino, resterà la traccia di qualcosa che grazie a un’interpretazione come questa continuerà a farci sorridere a lungo di ciò che, forse, si nasconde dietro quel che vediamo e, soprattutto, di noi stessi.
Paola Pini