La depressione psichica, l’ossessione del vuoto e del nulla, la rabbia e le vane speranze di V. Van Gogh ”L’odore assordante del bianco”

Data:

Al Teatro  Vascello di Roma, fino all’1 dicembre 2019

Ancora un valido ed approfondito lavoro per conoscere meglio la tormentata personalità del grande pittore impressionista olandese Vincent Van GOGH, basato stavolta sulla malattia mentale che l’afflisse negli ultimi anni della sua vita. Il testo è opera dello scrittore Stefano Massini ed è prodotto dal teatro stabile d’ABRUZZO dopo che nel 2005 ha vinto il premio Tondelli a Riccioni teatro per “la forma limpida e tesa, capace di restituire il tormento dei personaggi con rara inmmediatezza espressiva”. Infatti il superlativo Alessandro Preziosi si cala perfettamente nel protagonista e fin dall’inizio, quando lo troviamo rannicchiato sul pavimento quasi in un istintiva autodifesa dalla paura dell’esterno, recita con intensità cruda e dispersiva il suo soliloquio disarticolato, dominato dal desiderio d’uscire da quella solitudine repressiva e bloccata in un unico punto mentale segnato da una schizofrenia nichilista ed autodistruttiva. Per respingere la sua isteria e voglia di farsi del male viene legato al letto dagli infermieri Gustav e Roland rispettivamente L. Sbragia ed A. Bandiera, sotto la guida del capo dipartimento dott. Vernon Lazare, reso pretenziosamente da R. Manzi, che Vincent raffigura come un despota nei suoi  dipinti per screditarlo agli occhi dell’opinione pubblica come un impietoso despota non in grado di responsabilizzare i pazienti del manicomio di SAINT PAUL dove l’artista è rinchiuso ed isolato. Il clima, che coinvolge gli spettatori sempre massicciamente partecipi alla serie di repliche,è un giallo psicologico sulla condizione necessaria alla creatività artistica, che per essere degna d’ammirazione ha bisogno d’armonico equilibrio, pur se vi può essere la spinta del folle invasamento pittorico.A risvegliare in lui sensazioni positive non c’è l’ambiente, che invece è deprimente con il suo catatonico claustrofobico bianco simile ad una ”gabbia” lontana dal centro del mondo e dai suoi interessi, in cui va a visitarlo il fratello Theo nel 1889 un anno prima della sua morte avvenuta nel 1890. Con lui ricordando il passato,gli anni giovanili con l’esperienze comuni, la fidanzata di lui Clarissa con la sua particolare fisiognomica,rinasce la speranza d’evadere da quel luogo maledetto che lo sta riducendo ad un decerebrato animale, tuttavia il congiunto cerca di fargli capire la gravità della realtà e l’urgenza di non muoversi  da lì. Naturalmente Theo parla con il dolore nel cuore, nell’asciutta ed emotiva interpretazione di Massimo Nicolini, avendo preso quattro treni ed un passaggio su un carretto rustico per testimoniargli la vicinanza. Vorrebbe aiutare Vincent, mediante la ricostruzione della sua coscienza intellettiva e delle vicende vissute, pure il direttore del manicomio dottor Peyron,incarnato dal medico terapista nei panni di F. Biscione, ma il sommo pittore fiammingo rammenta solo il pane caldo di Parigi, Pigalle con il suo quartiere latino di Montmartre ed il LOUVRE; mentre le restanti città di LONDRA, ANVERSA e MADRID sono sparite dalla sua memoria. L’ineluttabile è ormai segnato e la fine giungerà come una liberazione l’anno dopo. L’accurata regia di calda tensione passionale e tragica sul viale del tramonto, d’un sommo genio è dello stesso Alessandro Maggi, è da non perdere fino a domenica 1 dicembre.

Susanna Donatelli e Giancarlo Lungarini

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