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1970: la musica 50 anni fa (seconda parte)

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Dopo aver ripercorso brevemente il ricchissimo 1970 “in musica” della Gran Bretagna nella prima puntata (https://www.corrieredellospettacolo.net/2020/01/10/1970-la-musica-50-anni-fa-prima-parte/), attraverseremo l’Oceano Atlantico – proprio come farà Rod Stewart qualche anno dopo con Atlantic Crossing – per raggiungere gli Stati Uniti che, quanto a fermento musicale, in quel periodo non hanno certo nulla da invidiare alla patria di Beatles e Rolling Stones.

Il disastroso “Altamont Free Concert”, organizzato dagli stessi Stones nel dicembre 1969, aveva segnato in maniera traumatica la fine simbolica – oltre che effettiva – degli anni Sessanta, e con essa anche quella del movimento Peace & love, nato a metà decennio in California e celebrato soltanto pochi mesi prima al Festival di Woodstock, che era miracolosamente riuscito a rievocare l’atmosfera della mitica Summer of Love 1967. Gli USA che si affacciano agli anni Settanta si riscoprono dunque “brutti, sporchi e cattivi”; ma si va avanti, e nonostante le crescenti tensioni sociali il mondo della musica vive un anno artisticamente straordinario e denso di avvenimenti, anche se non tutti positivi, come nel caso della scomparsa di Jimi Hendrix e Janis Joplin.

Per quanto riguarda il rock, è quasi doveroso cominciare proprio dal leggendario chitarrista di Seattle, per molti il più grande di sempre. Il 1970 è un anno di transizione e turbolenze per l’inquieto Jimi, che non riesce a trovare la stabilità necessaria per la realizzazione di nuovi progetti; la sua Band of Gypsys dura poco, e lascia su disco solo l’omonima testimonianza dal vivo (Band of Gypsys), che rimane l’ultima opera pubblicata in vita dall’artista. E’ anche un periodo caratterizzato da varie esibizioni live, tra cui la partecipazione, tutt’altro che esaltante, alla terza edizione del Festival dell’Isola di Wight in Inghilterra, a meno di tre settimane dalla sua morte, avvenuta il 18 settembre.

I Doors di Jim Morrison, in fase calante dopo la fine della gloriosa stagione psichedelica, pubblicano il loro quinto album Morrison Hotel, mentre i campioni del latin rock Santana, reduci dal successo della trionfale esibizione a Woodstock, si confermano con Abraxas, l’album che contiene la famosa Samba pa ti. Anche Frank Zappa “firma” il 1970 a modo suo con lo straordinario Burnt Weeny Sandwich, ultimo sussulto dei suoi Mothers of Invention, di fatto già sciolti a causa (si dice) degli scarsi riscontri commerciali ottenuti sin dall’inizio dell’avventura; Paul Kantner, leader dei Jefferson Airplane, debutta insieme alla moglie Grace Slick nel progetto collaterale dei Jefferson Starship con l’epocale Blows Against The Empire, disco di protesta visionario e manifesto “postumo” della cultura hippie. Il 1970 è anche l’anno in cui esce Idlewild South, secondo album della formidabile Allman Brothers Band e disco cruciale per l’affermazione del southern rock, genere che di lì a poco annovererà tra i suoi principali esponenti gruppi del calibro di Lynyrd Skynyrd e The Marshall Tucker Band. In ottobre, dopo aver ultimato le registrazioni di Pearl, a pochi giorni di distanza dalla scomparsa di Jimi Hendrix se ne va anche Janis Joplin: un’altra perdita inestimabile per il mondo della musica.

Spostandoci in territori meno strettamente rock, e avvicinandoci al folk, il 1970 è l’anno di Bridge Over Troubled Water del duo Simon & Garfunkel e di 12 Songs del pianista e cantautore Randy Newman, oltre che del capolavoro Starsailor di Tim Buckley (il papà di Jeff): con questo inafferrabile disco, in cui la voce si spinge in territori mai esplorati prima, Tim raggiunge l’Infinito, senza però riuscire a far ritorno. Proseguiamo: l’inglese Eric Burdon, lasciati gli Animals e trasferitosi negli USA, fonda i War e con essi proclama l’inizio della sua personale guerra ideologica (Eric Burdon Declares “War”); se Bob Dylan, benché nel 1970 sia presente con ben due album pubblicati (il doppio Self Portait e New Morning), non sta attraversando uno dei suoi momenti di maggior ispirazione, sono invece in forma smagliante i Creedence Clearwater Revival di Cosmo’s Factory, e anche Crosby, Stills e Nash, ai quali si è aggiunto il canadese Neil Young per creare un memorabile supergruppo e realizzare insieme il capolavoro Déjà Vu; pochi mesi dopo Young rilancia con un altro grande album, After the Gold Rush. Sempre dal Canada (facciamo un altro piccolo sconfinamento, ma ne vale la pena) arriva Joni Mitchell, che nell’anno in questione pubblica Ladies of the Canyon (il disco della celebre Big Yellow Taxi, ripresa più di trent’anni dopo dai Counting Crows), mentre un’altra cantautrice destinata al successo esordisce con Writer: Carole King. Chiudiamo la carrellata folk con un’altra grandissima artista, mai sufficientemente ricordata: Laura Nyro. Nel 1970 pubblica Christmas and the Beads of Sweat, non il suo disco migliore, ma ultimo atto di un’irripetibile trilogia formata con i capolavori Eli and the Thirteenth Confession (1968) e New York Tendaberry (1969).

Passiamo alla black music, realtà culturale tipicamente USA (almeno all’epoca) e di capitale importanza nella storia della musica. Tra le figure maggiori troviamo senz’altro il grande trombettista jazz Miles Davis che, ispirandosi ad artisti del calibro di Jimi Hendrix, James Brown e Sly Stone, qualche anno prima ha compiuto un vero e proprio “sacrilegio” mescolando jazz, rock e funk, inventando così il genere fusion, a cui si sono convertiti fior di jazzisti (tra cui i pianisti Herbie Hancock e Chick Corea) che successivamente porteranno a maturazione questo nuovo jazz elettrico, con formazioni quali Headunters, Return To Forever, Mahavishnu Orchestra e Weather Report; il doppio album del 1970 Bitches Brew rappresenta forse l’apice dell’esperienza elettrica di Miles, cui faranno seguito notevoli testimonianze dal vivo di quel periodo, anche se pubblicate successivamente, come Live-Evil e Black Beauty. In ambito soul, il 1970 vede Curtis Mayfield, lasciati gli Impressions, pubblicare il suo primo album solista Curtis, che contiene la trascinante Move On Up; con Come to My Garden si ascolta per la prima volta su disco la straordinaria voce della cantante Minnie Riperton, mentre Everything is Everything segna il debutto di Donny Hathaway, che mostra subito il suo valore con la perla The Ghetto; a giugno cominciano le registrazioni di What’s Going On, il capolavoro di Marvin Gaye, che uscirà l’anno successivo; due storici gruppi della scena black quali Earth, Wind & Fire e Kool And The Gang debuttano con i rispettivi album omonimi; con Signed, Sealed & Delivered il ventenne Stevie Wonder, forte di una lunga gavetta alle spalle, comincia a fare sul serio; brilla già, infine, la stellina del dodicenne Michael Jackson che, nell’album ABC e nelle numerose esibizioni dal vivo insieme ai fratelli, incanta l’America con la sua voce angelica e il suo carisma, lasciando intuire il suo ruolo di predestinato.

Nella terza e ultima puntata di questo speciale dedicato al 1970 arriveremo in Italia: anche il Bel Paese, pur vivendo in una dimensione meno internazionale (per ovvie questioni linguistiche, ma non solo) ha onorato l’anno in questione, lasciandoci un’eredità musicale tutt’altro che trascurabile.

Francesco Vignaroli

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