1970: la musica 50 anni fa (prima parte)

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Dunque, gira che ti rigira siamo nel 2020! Per esorcizzare il tempo che passa, anzi, vola, e tenere a bada l’ansia per un futuro che appare per vari motivi sempre più incerto, un corroborante tuffo nel passato è quel che ci vuole! E allora sfruttiamo l’arrivo del nuovo anno come pretesto per celebrare il cinquantesimo anniversario di uno tra gli anni più importanti e densi di eventi nella storia della musica leggera, il 1970, che ripercorreremo con una breve panoramica (quindi senza pretese di completezza) in tre puntate della situazione musicale all’epoca, sia in Italia che all’estero (Gran Bretagna e USA). Questa prima parte è dedicata al Regno Unito, con attenzione particolare all’Inghilterra, luogo dove tradizionalmente, da almeno sessant’anni, in ambito musicale (e non solo) “accadono cose”.

Dopo l’uscita dello storico disco di debutto dei King Crimson l’anno precedente, la Gran Bretagna è conquistata dal progressive rock, un movimento musicale che si propone di elevare il rock al rango di musica colta, facendolo diventare musica per la mente e non più solo per i piedi. E’ in base a quest’idea fondamentale che si effettuano le prime, ardite (e non sempre riuscite) contaminazioni tra rock e musica sinfonica, e talvolta, sull’onda di quanto stava avvenendo dall’altra parte dell’Oceano Atlantico (ne parleremo nel prossimo articolo), anche tra rock e jazz. Nel progressive la musica assume un’importanza pari – se non maggiore – ai testi, anche perché molti tra gli artisti che si dedicano al genere si sono formati al conservatorio, e possono quindi vantare un’ottima preparazione tecnica. Tra i dischi più significativi scaturiti dal movimento prog nel 1970, spiccano senz’altro Trespass dei Genesis di Peter Gabriel, Third dei Soft Machine di Robert Wyatt, The Least We Can Do Is Wave to Each Other dei Van Der Graaf Generator, gli omonimi album di debutto del supergruppo Emerson, Lake & Palmer e dei sottovalutati Gentle Giant, oltre a Atom Heart Mother dei Pink Floyd, primo atto più spiccatamente progressivo del gruppo dopo gli esordi psichedelici sotto la guida dell’ex leader Syd Barrett.

Ma in Inghilterra, sempre in ambito rock, c’è molto altro oltre al progressive: i Led Zeppelin con Led Zeppelin III, i Black Sabbath con Paranoid e i Deep Purple con Deep Purple in Rock calano gli assi dell’hard rock, definendo le coordinate stilistiche di un fenomeno destinato ad avere grande successo; i Beatles, già praticamente sciolti, pubblicano il loro disco di commiato, Let It Be, mentre i rivali Stones, reduci dal successo di Let It Bleed, sono alle prese con le registrazioni di Sticky Fingers; gli Who, dopo l’opera rock Tommy, lasciano il segno nel 1970 a modo loro con lo storico Live at Leeds.

Spostandoci in altri territori rock, e andando anche un po’ oltre, c’è ancora tanto da ricordare: David Bowie pubblica il suo terzo album, The Man Who Sold the World, mentre il nordirlandese Van Morrison, con il suo inconfondibile stile che mescola folk e soul, si guadagna l’immortalità col capolavoro Moondance (realizzato però negli USA); in ambito folk/rock, non si possono non citare album del calibro di Tea for the Tillerman, il quarto e più celebre disco di Cat Stevens (quello di Father and Son), e John Barleycorn Must Die (disco a metà strada tra folk e prog) dei Traffic di Steve Winwood; nel 1970 arrivano su disco anche i primi ruggiti live di Joe Cocker, con Mad Dog & Englishmen. Infine, nel disinteresse generale (ma il tempo sarà galanuomo…), esce in punta di piedi Bryter Layter, secondo e purtroppo penultimo album di Nick Drake, meravigliosa meteora nel firmamento folk britannico.

Nella seconda puntata di questo piccolo speciale dedicato al 1970 ci trasferiremo nei variopinti States, per chiudere poi con l’Italia.

Francesco Vignaroli

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