“TORNARE A VINCERE”, LO SPORT COME STRUMENTO DI SALVEZZA E RINASCITA

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Se a Gavin O’ Connor dai in mano un film sullo sport, lui con ogni probabilità ne farà un bel film. È accaduto così con uno dei suoi titoli più celebri, Miracle (2004), che raccontava l’impresa della squadra di hockey su ghiaccio americana alle Olimpiadi invernali del 1980, quando sconfisse l’imbattibile squadra sovietica e riuscì poi ad aggiudicarsi anche l’oro. Ma anche Warrior (2011), con Tom Hardy, sul mondo della lotta libera, è un grandissimo film, robusto, classico, fortemente evocativo. Pride and Glory – Il prezzo dell’onore (2008) è un thriller/poliziesco, ma inizia con una partita di football, e lo sport viene spesso evocato in una vicenda familiare incasinata e drammatica.

Dopo una parentesi nel western (Jane Got a gun, 2016), e nuovamente nel thriller/drammatico di The Accountant (2016), O’Connor ritorna quindi a parlare di sport attraverso il Cinema, o, a raccontarci la purezza e la bellezza del Cinema attraverso una vicenda sportiva, con un film sorprendente, Tornare a vincere. È la storia di Jack Cunningham, ex campione di basket studentesco, che vive una vita solitaria, scandita dalla presenza costante dell’alcol. L’occasione di una rinascita arriva quando viene contattato proprio dalla sua ex scuola per poter allenare una squadra di giovani ragazzi, e aiutarla a risalire la classifica del campionato. Non sarà così semplice: né la rinascita sportiva, né quella, più importante, personale. Tornare a vincere è un film solido, ben organizzato e ben gestito da O’Connor: fa vivere lo sport e la sua essenza attraverso uno sguardo profondo, mai banale, scartandosi da percorsi di facile retorica, di facile camminamento, cercando invece di attuare una narrazione che si arricchisca con una cadenza regolare: mano a mano che il film procede si aggiungono tasselli e informazioni, vengono implementati singoli pezzi per andare a comporre la storia in un insieme che arriva al momento giusto e ti coinvolge completamente, anche a livello emotivo ed empatico.

Così assapori questo racconto piano piano, anche quando si dirige nel passato, e lo fa più attraverso i gesti che con le parole o con flashback; il trascorso del protagonista è rievocato narrando momenti e situazioni del presente, attraverso le immagini. O’Connor ci mostra i traumi e gli avvenimenti del passato inquadrando il suo personaggio nel presente in cui vive, nelle situazioni in cui è coinvolto ora, e anche suo malgrado; e attraverso il suo corpo contuso e trascurato, il suo volto impassibile e contratto, assente. Una presenza fisica e gestuale, più che verbale, già presente nel citato Warrior, e che Ben Affleck restituisce in modo impeccabile.

O’Connor si avvicina alla vita di Jack, alle sue ferite passate e presenti, ai suoi traumi ancora caldi che covano sotto una cenere apparente, usando come strumento lo sport: il basket, in questo caso, una disciplina che ha bisogno di metodo e preparazione anche per una singola azione di gioco, per un singolo gesto appunto, di una manciata di secondi: un gesto che a volte abbandona il piano e si fa intuizione e sregolatezza. Ma è uno strumento privilegiato, perché è il basket giocato dai ragazzi, lo sport quindi fatto di quella ribellione che va educata e indirizzata, di quei sogni che non devono essere sminuiti e smontati, di quell’entusiasmo contagioso e miracoloso. Ebbene sì, Tornare a vincere guarda la vita con lo sport, e lo sport è come uno specchio e una lente per Jack: gli mostra senza filtri ciò che è, un alcolizzato, chiuso in se stesso, e spento; gli mostra le ferite, gliele fa toccare; lo sport è una superficie liscia, fredda, riflettente, diretta e implacabile. Ma può trasformarsi anche in una lente, per potersi rivedere in un modo nuovo, diverso. E allora lo sport diventa strumento di salvezza, dove potersi rifugiare e attuare una rinascita. Dare forma e possibilità ad un miracolo, sportivo ed esistenziale.

Simone Santi Amantini

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