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“Le forme del visibile” di Massimo Triolo e “Disincanto programmato” di Stefan Mocanu. Tra poco in libreria per la collana iCanti Sussurri di Nulla Die

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Siamo ormai vicini all’uscita di una nuova e preziosa collana di Nulla Die. Si chiama iCanti Sussurri, dove saranno pubblicati alcuni dei nomi più interessanti della poesia contemporanea. In questo caso cito due testi di prossima uscita, vale a dire “Le forme del visibile” di Massimo Triolo e “Disincanto programmato” di Stefan Mocanu, poeta rumeno, le cui liriche appaiono nella traduzione dello stesso Triolo.

Gioventù

Disquisivi del terreno pratico della tua salda morale,
ed io non seguivo più una singola parola,
guardavo le luci che cambiavano colore,
gli aggregati di levigate, plastiche forme –
di un modernismo barbaro e così poco confortevole –
nell’architettura spintamente concettuale del parco.
Le mie dita sfiorarono la tua guancia,
con delicatezza non priva di impaccio,
disegnandovi una carezza a forma di virgola,
mentre tacendo delineavi un’ellissi
nel tuo discorso fitto.
Accennasti un sorriso senza scostare le mie dita,
e i tuoi occhi erano gai e colmi di vita,
mi parve di poterla quasi stringere in un pugno
come se trattenessi a me qualcosa di concreto e materico.
Il tempo fu villano con noi due,
sparigliando le nostre vite con violenza inaudita:
eravamo sulla soglia ultima dei nostri giorni assieme,
e respiravamo con l’aria putre della baia
un sentore di fatalità inaudita:
come se quegli attimi avessero un peso trascendentale,
come se non potessero passare senza il segno
di una qualche sciagura a venire.
Ignari architetti delle nostre stesse vite,
curatori acribiosi delle rose che ci appartennero,
portatori insani di sane morali,
sempre guardinghi, sempre soli benché assieme,
eravamo giunti alla fine di qualcosa che non conoscemmo
se non come sonnambuli entro i giardini della gioventù,
ancora intatti in qualche modo,
ma con un passo agile ed un’agile visione del mondo.
La vita ci urgeva dentro,
e parlare era sempre stato un modo
per lenirne la crudeltà giovane,
perché la gioventù è la più orba e crudele delle stagioni.
Le tue ultime parole, come per una scozzata di carte,
furono così eccentriche al nostro legame
che non potei che ricordarle sempre, di lì in poi,
come un sanguigno sigillo su di una lettera mai aperta.

Le forme del visibile

Ragazza, ho aspettato e aspettato, aspettato così a lungo
da far impallidire il tempo.
Le parole dettavano promesse lasciate a candire,
gestendo uno spazio residuo
e offrendo il fianco ai duri colpi di una sorte incrudelita.
Pure, la mia anima era cristallina,
i miei intenti puri e onorevoli,
ma finii per condurmi al mondo come un randagio affamato,
e divenni la preda
di fedi illusorie e circostanze tutt’altro che fiorite,
paesaggi e visuali in un solo calderone diurno di cecità
e riprovazione,
le notti gemmate d’odio acre e affoltate di presenze larvali
e spettri eleganti quanto inutili.
Il digiuno divenne pane quotidiano,
callido e guardingo, onoravo niente altro
che una traiettoria sguincia su prospettive di fuoco.
E il fuoco fu il sipario e scena della mia vita,
bruciando stupido e feroce,
dilagando senza tregua a sé.
Squamarono tra le fiamme le pagine della mia vita,
presenziando a cerimoniali oscuri, i miei sforzi votivi,
descrivendo una perfetta sezione aurea
delle sinfonie dell’intimo lanciate
nella mischia garrula di domande precise come compassi
e risposte sollecite senza costrutto se non di nullificazione.
Ragazzo, se ho aspettato, ho aspettato così a lungo
che la pietra è divenuta polvere fina,
lo sguardo del saggio penetrando oltre le forme del visibile,
la Fenice consumando tutte le sue fiamme senza più un futuro,
gli atomi della mia anima esaurendo il loro cubitale gomitolo di luce…
Ed ho scordato, ho scordato
per fare spazio agli eventi e alla voce del vento,
al suppurare della ferita e al germogliare del sangue con la sua memoria;
all’inverdire dei giardini del Pensiero –
che il fiume discendesse a valle e si unisse al mare,
che i giorni fumassero lenti come una visione sulle tracce del nulla,
che l’anima scolpisse l’aria bollente nello Zenit del suo bruciore
e le fiamme non mordessero che se stesse,
la risposta fu solo una:
“La guarigione dimora dove recede il tuo appetito di conquista”.

Sono due esempi della poesia di Massimo Triolo, ripresi dalla raccolta. La sua è una poesia potente e sanguigna dall’andamento ritmico e impeccabile. La ricchezza linguistica rende il complesso prezioso, senza influire sulla fluidità del verso. In effetti queste liriche arrivano dirette, colpendo l’emotività dello spettatore in modo prorompente e viscerale.

Limite

Ho sfidato la fortuna
stringendo il limite fra i palmi
pieni di spine.
La lucciola illumina inutile
i sepolcri dei rimpianti…
Da domani i barboni con blasone
diverranno liberi di passare col rosso.
L’arcobaleno asceta
resta sempre dall’altra parte.
Rosicchiando le unghie in solitudine
anche io da domani
inizierò a nuotare oltre la boa.

Sogno

Dall’altra parte, rinascerò domani
in un frac rattoppato,
portando l’arcobaleno annodato
nelle tasche liquide,
senza entrata,
senz’ombre,
senz’occhi.
Solo io e le altre parole:
quelle inespresse.

Acquarelli

Cercando il nocciolo che germoglia
nella terra della mia anima,
oppure il pensiero di fieno fresco
inginocchiato accanto alla tua figura,
prima specchiato dalle acque chete
e poi rotto nelle acque increspate.
Acquarelli asciutti fra le dita affusolate
come capelli non lavati,
odoranti di profondità in cui i pesci
con orologio al collo,
rumorosi, vendono al mercato
l’armatura del tempo perduto.

La poetica di Mocanu gode di un carattere visionario, giocando con figure e metafore veramente sorprendenti, che certo catturano la curiosità del lettore. Le sue liriche sono brevi e trovano la loro linfa vitale proprio in questa accurata sintesi, tramite la quale l’Autore è in grado di trovare la sua efficacia espressiva, attraverso versi sprigionanti luce e fantasia.

Preparativi dunque per “Le forme del visibile” di Massimo Triolo e “Disincanto programmato” di Stefan Mocanu, presto nelle librerie.

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