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Robert Musil, “Theater Symptoms. Plays and Writings on Drama”, New york-London-Melbourne, Contra Mundum Press, 2020, pp. 558

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Questo terzo volume degli scritti completi del grande romanziere, drammaturgo, critico e saggista austriaco (1880-1942), esponente di punta del modernismo europeo, curata e tradotta in inglese con appassionata e documentata fedeltà dalla studiosa Genese Grill per la raffinata ed eclettica Contra Mundum Press, costituisce un prezioso contributo alla conoscenza dell’articolata e poliedrica opera di Musil. Un prezioso longseller non solo per la koinè anglofona – genetica od acquisita – del nostro mondo culturale globalizzato, ma, in primis, per i cultori europei ed italiani dell’alta letteratura, filosofia, drammaturgia e saggistica moderna, nei suoi fondamenti etici, espressivi e stilistici.

La complessa Weltanschauung di Musil, formatosi nel fervido crogiolo viennese e berlinese del primo Novecento e degli anni Venti, in quella “poetica della crisi” febbrilmente fiorita al tramonto dell’Impero asburgico e della stessa Belle Epoque è qui lumeggiata con dovizia di fonti e di riferimenti testuali dall’Introduzione di Grill, e si offre al lettore nell’articolazione binaria del volume, che comprende nelle prime due parti un’ampia selezione di scritti musiliani sulla crisi e il possibile rinnovamento del teatro (Theater Symptoms, appunto, ovvero Symtomenteater, titolo antonomastico di un articolo del 1923) e di recensioni drammaturgiche, scritti tutti compresi tra il 1921 e il 1924 tranne l’autorecensione del 1929 allo “scandalo” suscitato dal dramma Die Schwärmer/The Utopians, ovvero, in italiano, I fanatici. La terza parte è dedicata alle versioni dei due drammi musiliani completi, il ricordato The Utopians e la “farsa” Vinzenz and the Mistress of Important Men – nell’originale Vinzenz und die Freundin bedeutiger Männer – che ebbe un maggiore, se pur elitario successo del dramma precedente, mai integralmente rappresentato sulle scene europee per la sua paventata natura astratta, teoretica, staticamente irrisolta e priva di scheletro drammatico. La quarta ed ultima parte del volume comprende quattro abbozzi e frammenti teatrali, per lo più di breve o brevissima estensione: Prelude to the Zodiac, The Duble I, The Stylite e Tempora Maier.

In questo corpus critico-drammaturgico risalta con forza visionaria ed ironia pungente quanto oggettivata l’ “inattualità”, di origine nietzschiana, della poetica di Musil, volta a distruggere scientificamente i resti del naturalismo o pseudo-realismo borghese di ascendenza positivista, e del Kitsch ipocritamente benpensante di una imperial-regia “Kakania” destinata a crollare nella dittatura nazista, che costrinse Musil all’indigente esilio finale in Svizzera. Una “inattualità” visionaria ed eterodossa di antiche benché a loro volta ironizzate origini (“die Schwärmer”, i fanatici o meglio “gli esaltati”, durante la Riforma protestante era l’appellativo che Lutero dava ai teologi integralisti) che comporta lo sperimentalismo incessante e il non- finito, l’opera aperta, spiralica, ambiguamente frammentata e ricomposta in un frottage di micro-universi paralleli, relativistici e problematici che domina tutto il Novecento, a partire dalle grandi avanguardie artistico-letterarie (dada, futurismo, cubismo, frammentismo lirico, l’espressionismo stesso, al quale Musil è pur dialetticamente legato) e che raggiunge i suoi vertici più noti nell’opera di Proust, di Joyce, di Virginia Woolf, di Eliot e Pound e, in Italia, dell’ultimo Pirandello, che in Uno, nessuno e centomila mette in scena un antieroe quasi zen, il quale rifiuta l’azione affermando “la vita non conclude”, ed è psicologicamente assai vicino all’Ulrich (già Anders, diverso) dell’Uomo senza qualità, il capolavoro testamentario di Musil, che egli, nei Diari, chiama tout court “Il dramma”: ma il titolo originale, Der Mann ohne Eigenschaften, è piuttosto traducibile come “l’uomo senza specificazioni”, senza illusori attributi o qualifiche sociali: l’uomo assoluto, protagonista di un futuro liberato, un antieroe non meno vicino agli “inetti” di Svevo, ai “buffi” di Palazzeschi e ai più tragici (auto) condannati di Kafka, i quali tutti si stagliano sul versante opposto rispetto ai personaggi e agli scrittori di successo dell’epoca (Mann, Hesse, Brecht, Shaw, D’Annunzio).

In queste testimonianze della sua prima maturità Musil, si è lasciato alle spalle il cupo realismo autobiografico del Törless dei racconti, ed è già volto alla sfida ascetica e stoica di istituire e far evolvere in se stesso e nelle sue proiezioni “il segretariato generale della precisione e dell’anima”, cioè a recuperare con vero spirito scientifico “lo stato della creazione”, il valore assoluto, atemporale e motivante di quelle che Proust definiva “le grandi leggi” della vita, teleologiche e inevitabilmente asociali, che Musil raffigura nei suoi imprendibili e rinunciatari eroi della leggerezza, idealisti senza ideali e cavalieri di un Assoluto senza nome, incarnato nell’androginia mistica – che risale al gioco delle coppie mal assortite e scambiate nelle Affinità elettive di Goethe – ed è espresso dai personaggi femminili dei drammi, magici e sfuggenti “uccelli del paradiso” come Regine nei Fanatici, Alpha nel Vinzenz e “la sorella dimenticata” Agathe nell’Uomo senza qualità, rispettivi “doppi” degli antieroi Thomas, Vinzenz e Ulrich: ed è facile accostare loro l’Albertine di Proust e l’androgino e mutante Orlando di Wolf, o, della stessa, la rarefatta partitura di voci musicali maschili e femminili di The Waves. In questo senso, tra le Selected Reviews della seconda parte, e come contraltare ideale degli scritti sul declino e il rinnovamento del teatro contemporaneo raccolti nella prima, spiccano le due affascinate ed entusiastiche recensioni alle messinscene al Teatro d’Arte di Mosca, diretto da Stanislawskij (entrambe del 1921) che Musil prende ad eccezionale modello dell’arte futura, capace di “creare il corpo del dramma dalla sua anima”, suonando/recitando “la nota pura, la nota della poesia […] e ciò che rappresentano non è più teatro, ma arte”, che “non esiste nella vita contemporanea”. Un analogo elogio riserva due anni dopo al Cabaret Russo, che riesce ad essere “un amalgama di sub – ed extra-reale” (non si può non notare che nello stesso anno nasce in Francia il movimento surrealista). Allo stesso modo è apprezzato il “grido di battaglia” dell’attrice e cantante Yvette Guilbert, provocatoria interprete di canzoni di strada, e soprattutto il dramma dell’anarchico espressionista e spartachista Ernst Toller (Hinkemann [il mutilato]), tragedia della castrazione subita in guerra, ovvero metafora della perdita dell’immaginazione e della capacità di trasformazione creatrice – anche in senso sociale – come paralisi topica del primo dopoguerra tedesco, in conseguenza della falsa fede in una renovatio prodotta dalla guerra stessa, che Marinetti e i futuristi italiani avevano definito “sola igiene del mondo”.

Ancora sulla scorta di Goethe in quanto acuto antropologo e psicologo dell’esperienza estetica e di quella mistica, Musil difende incessantemente e con finezza critica la forza di verità e lo spirito di obiettività che, al contrario della menzognera politica, ispira l’arte e l’autentica letteratura, anche quella gridata dall’espressionismo, verso la quale, nei suoi maggiori esponenti – a partire dai precursori Büchner, Ibsen, Maeterlinck e Wedekind – Musil nutre un ossimorico rapporto di adesione e distacco: ma gli espressionisti consideravano comunque Musil come un loro appartato mentore, soprattutto per Die Schwärmer, il cui primo titolo o “pseudonimo psicologico” era stato Gli anarchici, e che , pur vincitore del prestigioso Premio Kleist nel 1923, annoverò e tuttora annovera scarsi o falliti tentativi di rappresentazione sia in patria che all’estero, per il suo ricordato carattere astratto ed aperto, che il corso del Novecento divulgherà con maggior successo e nihilismo sarcastico, ma con minor carica utopica, col cosiddetto “teatro dell’assurdo” di Beckett e di Jonesco, che tenterà di esorcizzare le perduranti crisi socio-politiche ed estetiche del pensiero e dell’arte europea, la quale rimarrà in equilibrio sempre più precario e avventuroso sulla sua leaning tower.

Maura Del Serra

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