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“DE VITA”. Intervista a Matteo Gavazzi

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Danzatore del Teatro Alla Scala, in questo lavoro anche coreografo di sé stesso: incontriamo Matteo Gavazzi in occasione del suo De Vita, in scena all’interno del Festival MilanoOltre al Teatro Elfo Puccini. Simpatico, alla mano, semplice ed entusiasta del suo mestiere: in sintesi, quello che deve essere un danzatore.

Matteo, come ti è venuta questa idea contemporanea, per uno come te che è in Scala da una vita?

In effetti sono in Scala da sedici anni adesso… Non ho fatto l’Accademia del Teatro Alla Scala, ho fatto una scuola privata, in Toscana da me, Centro Arte Danza, poi ho avuto la fortuna di andare a fare un’audizione per Aterballetto, per il corso di perfezionamento che facevano ai tempi, vinsi una borsa di studio, mi presero per otto mesi ed iniziai a conoscere veramente il mondo del contemporaneo. Quale posto migliore di Aterballetto? Infatti mi fecero fare di tutto di più! C’era Mauro Bigonzetti, con lui ho imparato tantissimo, facevamo hip-hop, teatro danza, arti circensi e mi divertivo da morire, imparavo un sacco di cose nuove e poi è bello perché riesci anche a capire in che strato artistico vorresti dimensionarti. Da lì ho fatto l’audizione in Scala ma prima sono andato all’Europ Danse, sempre con borsa di studio; non che la danza classica non mi piacesse, anzi, se sono dove sono c’è anche un motivo, però sentivo sempre di più questa attrazione verso il contemporaneo, come se dovessi sentir muovere il mio corpo in maniera proprio diversa. E quindi da lì, piano piano, crescendo, ho capito che mi divertivo un po’ di più a fare il contemporaneo. Adesso che ho 37 anni me ne rendo ancora più conto! D’altro canto la Scala è un ambiente dove si impara talmente tanto del mondo del teatro… La professionalità, il modo in cui viene gestito il lavoro del ballerino, come viene vissuto, poi conosci altre persone, conosci grandissime personalità della danza, e tutto questo mi ha poi portato a capire che il contemporaneo, forse ce l’ho sempre avuto, e adesso semplicemente gli sto dando libero sfogo.

Rispetto ad una volta, oggi è più semplice per le nuove leve affrontare coreografie contemporanee, anche in Scala. Una volta non esisteva proprio…

Sì, sì, Legris (Manuel Legris, direttore del Corpo di Ballo del Teatro Alla Scala, NDR) sta cercando di inserire molto più contemporaneo, la prossima stagione faremo Kratz, Dawson, Kylian… Ma già un elemento come Kratz, una mente giovane, che ha un suo pensiero, si può solo che imparare, che nella vita è fondamentale, e cercare anche proprio io di capire come fare! In Scala si incomincia a capire questo mondo, ovviamente non si può prescindere dal classico, ma ogni tanto avere anche qualche possibilità così.

Raccontaci un po’ di questo tuo lavoro: è un assolo, sei tu con te stesso.

Sì, è nato nel periodo Covid, è nato un po’ dal telegiornale, perché costantemente c’era questo bollettino di guerra di morti, morti, morti, allora ho pensato che fosse il caso di parlare un po’ della vita, di che cos’è la vita, e volevo pensare all’essenza della vita. Non è facile, ovviamente, quindi mi sono rifatto ad un testo di filosofia dove potermi ispirare, di Francesco Lamendola, professore di filosofia dell’Accademia di Verona. Leggendo questo suo trattato, su “L’essenza necessaria o sostanza della vita”, potrebbe essere una parte iniziale. In più ho detto cosa si può fare, come dare questo in movimento, allora ho pensato di raccontare il mio modo, una mia riflessione introspettiva di come vivo io la mia essenza della vita, dal momento in cui ti rendi conto che morirai, infatti il pezzo inizia proprio con un memento mori, inizi a dire aspetta un attimo, ho questa consapevolezza, e adesso? C’è tanto da scoprire ancora, è bene che la vita mi assorba totalmente e lo trasmetta allo stesso tempo, con l’amore che posso dare. Da lì, mi è venuto sotto le mani un apparecchio che mi permette di lavorare su un tappeto particolare che, utilizzando la mia elettricità statica ed il mio peso, quando premo creo musica. Quindi, è un buon modo per dare la mia essenza della vita. Io sono un ballerino, vivo per ballare, fondamentalmente, penso che non ci siano dubbi… Sono stati mesi allucinanti, c’è un indifferenza totale che è di una tristezza allucinante e se pensiamo che la cultura è il nutrimento dell’anima… Perché quando una persona pensa da sola fa paura, la cultura ti da’ questa possibilità, un pensiero tutto tuo da poter condividere. Quando si viene a teatro si vive il teatro, lo si ama, profondamente, e la gente si emoziona perché sei lì presente, e credo che sia fondamentale: viviamo solo nella paura, ma non dobbiamo dimenticare che siamo esseri umani, e come tali abbiamo la necessità di. De Vita parla di dare un po’ di speranza, di ricordarsi che la vita va sfruttata, vivendola insieme ad altre persone, comunicando, facendo del bene, ma anche del male, anche se non è un buon modo di vivere…

Com’è fare il coreografo di se stesso e per se stesso?

E’ diverso, a livello di logistica e di concezione di quello che stai facendo, di quello che vuoi rappresentare, quindi poi ti devi abituare al fatto della sensazione, devi vederti, se c’è quel movimento che può dare quella sensazione lì e riprovare di nuovo da capo finchè non sei convinto di quello che hai fatto. Avendo questo tappeto lavoro molto suo fatto che improvviso; più riesci a sentire il tuo peso sul tappeto ed il tuo movimento, più io capivo come potevo scambiare le note mentre stavo ballando. E’ una sperimentazione, quando ho provato la prima volta e iniziava a funzionare ho detto, vai , qui ci si diverte di brutto… Anche perché ha moltissime possibilità, se ci sono anche più ballerini, come poi avrei potuto trasmettere. Io ho iniziato così, la mia prima coreografia era un assolo mio, breve, ma ho bisogno di guardare quello che faccio, ho bisogno di vedere che il mio disegno funzioni. E’ la possibilità di potermi esprimere, di nuovo io, per quello che sono io, per il mio movimento, per il mio modo di sentire la musica, fuori totalmente da un corpo di ballo.

Prossimi progetti?

Per il momento sto cercando di capire ancora come funziona perché vorrei provarlo anche con altre compagnie; mi voglio spostare, ho un passo a due da fare per dei miei colleghi, per uno spettacolo a Cesenatico, e un altro passo a due per un altro galà. Mi sposterò all’Opera di Parigi, per un passo a due; ho un contatto a Greinswald… Essendo una cosa nuova, sto cercando di capire se è conciliabile, soprattutto per spostarmi. Mi piacerebbe molto fare qualcosa con le Compagnie di Michele Merola e di Susanna Beltrami. Alla fine tutti abbiamo bisogno di cambiare qualcosa, sto benissimo in compagnia, amo stare in sala… Ballare è una cura!

Il tuo ruolo preferito del repertorio classico?

Mercuzio di Romeo e Giulietta. Il personaggio, specie quello legato ai passi di McMillan, ha tutto: personalità, arte, armonia, energia, c’è tutto, specie l’interpretazione; oggi spesso ci si perde nel troppo tecnicismo e si perde un po’ il senso di teatro…

Chiara Pedretti

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