“Non domandarmi di me, Marta mia”. Una accorata Elena Arvigo rivive il carteggio tra Luigi Pirandello e Marta Abba

Data:

In scena il 27 e il 28 novembre 2021 al “Teatro Gerolamo” di Milano

Il testo scritto da Katia Ippaso e portato in scena da una accorata Elena Arvigo con la regia di Arturo Armone Caruso si basa sulla corrispondenza amorosa di oltre 500 lettere tra Luigi Pirandello e Marta Abba. La drammaturgia vive il dramma di un amore incompleto. Un rapporto affettivo vissuto spesso a distanza. La trama prende vita in una New York anni Trenta nel periodo della morte di Luigi Pirandello. Marta Abba sta recitando al Plymouth Theatre di Broadway. L’attrice alla fine dello spettacolo dopo aver annunciato al pubblico la scomparsa del grande maestro si ritrova in una stanza sola con sé stessa a fare il resoconto della sua vita. La donna straziata dal ricordo rinnova il suo passato rivivendo il fecondo carteggio che ha avuto con il grande drammaturgo. Ogni lettera è la testimonianza di un grande epistolare amore ma nello stesso tempo di un infinito tormento.

La drammaturga Katia Ippaso dice:

“Non domandarmi di me, Marta mia…” si situa in un preciso punto del tempo, il 10 dicembre del 1936, data della morte di Luigi Pirandello, e in un preciso punto dello spazio, New York, dove Marta Abba stava recitando al Plymouth Theatre di Broadway. Quella sera, dopo aver fatto al pubblico l’annuncio dell’improvvisa scomparsa di Pirandello alla fine dello spettacolo, Marta Abba si trova da sola nella sua camera di Manhattan, non molto distante dalla Fifth Avenue, di fronte alla cattedrale di St. Patrick. Legge l’ultima lettera che Pirandello le aveva scritto, solo sei giorni prima della sua morte, nella quale non accennava minimamente alla sua malattia.

Nella calma allucinata di quella notte, dopo la rappresentazione, Marta si trova a dover fare i conti con il suo passato. L’attrice ha portato con sé le lettere che negli anni le ha scritto Pirandello dal 1926 al 1936 ma anche quelle che lei aveva indirizzato al suo Maestro. Le sparge sul letto e sul pavimento, vi si immerge, e rievoca così la loro storia, la storia di un rapporto elettivo, agli altri segreti e in una qualche forma incomprensibile, “un “un fatto d’esistenza”, annotava Pirandello in una lettera del ‘29.

Rispetto al personaggio forte e risoluto del carteggio, emerge in Marta Abba, col favore delle tenebre, una nota di vulnerabilità, una maggiore solitudine di donna. L’irruzione improvvisa della morte non può non influenzare l’interpretazione del passato, facendo vacillare le certezze e portando la protagonista a farsi delle domande che non si era mai fatta prima. È una notte di veglia, in cui si fa vivo non solo il fantasma di Pirandello ma vengono chiamate a raccolta anche le immagini fantasmate di tutte le eroine pirandelliane (dalla Tuda di “Diana e la Tuda” a Donata Genzi di “Trovarsi”, fino alla contessa Ilse de “I Giganti della montagna”) che il grande scrittore aveva inventato per lei, per la sua Marta.

Le note di regia di Arturo Armone Caruso:

“Nell’oscurità, una presenza sonora, incandescente. New York, gli anni Trenta, la “Città all’impiedi” di Céline. Una lanterna magica accende vorticose immagini notturne, quasi un divertissement, ma minaccioso. Un teatro d’ombre, la città in movimento, lettere, foto in bianco e nero, estratti filmati, nuvole che si addensano.  Anche la camera dell’albergo newyorkese di Marta Abba è un caleidoscopico comporsi e scomporsi di forme: inquadrature che inseguono il fluire del testo e della tessitura musicale. Dall’ombra, emerge come in un lampo, fascinosa, l’attrice: Marta Abba. “È giovanissima, di meravigliosa bellezza. Capelli fulvi, ricciuti, pettinati alla greca. La bocca ha spesso un atteggiamento doloroso, come se la vita di solito le desse una sdegnosa amarezza, ma, se ride, ha subito una grazia luminosa, che sembra rischiari e avvivi ogni cosa”. L’amarezza e la gioia, il fantasma e la realtà, il personaggio e la maschera. Nella notte, precipitati “d’improvviso, brutalmente in un’altra era, in un altro tempo, più tenebroso”, chi è che ci parla? Pirandello attraverso Marta Abba o Marta Abba attraverso Pirandello? L’uno e l’altra. Incarnati.

In un viaggio notturno attraverso i passaggi di una corrispondenza dalla quale affiora pulsante l’emozione, l’attrice, dando una precisa tonalità orfica al testo, fa emergere il lungo, intenso e per tanti versi doloroso rapporto tra Luigi Pirandello e la sua attrice musa, Marta Abba. I temi dell’impossibile fusione amorosa, del senso dell’arte, di cosa si vale realmente, della vecchiaia inesorabile, della morte e della forma, anche quella dell’arte, che soffoca la vita irrompono sulla scena lasciandoci al termine dello spettacolo con il sentimento di una irrimediabile perdita, di una minaccia incombente.

Luigi Pirandello e Marta Abba si allontanano all’infinito nella glaciale notte newyorkese, alla frontiera tra la vita e la morte, all’alba dell’immane catastrofe, di un’epoca buia che lo stesso Pirandello sentiva avvicinarsi.”

Il testo ben scritto da Katia Ippaso e ben diretto da Arturo Armone Caruso esalta le doti attoriali di una sublime Elena Arvigo. L’attrice ligure entra magistralmente dentro l’anima del personaggio vivendone i sussulti. Un eccellente spettacolo da non perdere.

Giuliano Angeletti

“Non domandarmi di me, Marta mia”
Intorno al carteggio Luigi Pirandello – Marta Abba
di Katia Ippaso
con Elena Arvigo
regia di Arturo Armone Caruso
assistente alla regia Giulia Dietrich
musiche originali MariaFausta
scene Francesco Ghisu
disegno luci Giuseppe Filipponio
image designer Elio Castellana
produzione Nidodiragno/CMC

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