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“House of Gucci”: quando i conflitti in famiglia uccidono un marchio (e non solo)

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157 minuti di faide familiari, inganni, tradimenti, amore e incomprensioni che non riusciranno a colmare le domande della platea e il desiderio di scavare di più negli avvenimenti accaduti tra il 1978 e il 1997 e riportati in vita tramite la pellicola.

Aldilà di dipingere i fatti di cronaca che hanno infestato i giornali internazionali nel 1995 e che hanno messo sotto ai riflettori la famiglia fiorentina Gucci e di conseguenza il loro iconico brand, questo film trasuda italianità o, perlomeno, un’italianità vista da chi italiano non lo è affatto. Hollywood (in particolare Ridley Scott, il regista) ha deciso di portare sul grande schermo il loro concetto di italianità: la convivialità che fa naturalmente parte di noi e che si mescola nel nostro spiccato talento di chi ha sempre anticipato le mode future. Da cinecittà e l’affermazione del cinema con Fellini, Rossellini, De Sica, alla moda, l’uso illuminato e sapiente delle pelli e la sensibilità estrema al gusto, qualità e stile, sono solo alcuni tratti dei successi italiani nell’ultimo secolo. Tra tutte queste peculiarità, il regista sfrutta di piú il nostro amore per l’intrattenimento e lo usa come satira, specialmente caricando queste caratteristiche nel ruolo di Paolo Gucci (Jared Leto). Infatti, la sua inadeguatezza, il suo essere inversamente creativo diventa motivo di risate e umore (nero) dall’inizio alla fine. Divertente sì, ma distoglie l’attenzione dalla possibilità di indagare più a fondo il rapporto amoroso tra Maurizio Gucci e Patrizia Reggiani e lo sviluppo della griffe, principali argomenti che avrebbero reso più completa e interessante la ricostruzione di questo melodramma.

Gli anni ‘80 e ‘90 fanno da sfondo alla storia e le musiche avvolgono, completano e supportano le scene come una carezza gentile, ma a tratti decisa, cupa e misteriosa. Le mani esperte dei produttori hanno saputo incorniciare il tutto perfettamente, nelle varie location di Milano, Roma, Firenze, Como e Gressoney.

Sono poi assolutamente gli attori che fanno la differenza. Dopo studi di mesi prima di girare le scene, Lady Gaga riesce ad avere in pugno l’accento di Patrizia Reggiani, vera regina e protagonista del film. Si riesce a percepire ogni suo cambio di umore e sentimenti, la sua disperazione per l’amore perduto, il suo odio che cresce a dismisura fino alla decisione finale di compiere l’atto più meschino. Un climax che monta pesantemente e che si stende su tutta la platea che aspetta che il destino, inesorabile, si compia. E l’evoluzione dei personaggi, la loro crescita e caduta, i loro errori rimangono incisi negli occhi e nel cuore degli spettatori come un avvertimento che i dissapori in famiglia, se estremi, possono uccidere, e non solo un’attività familiare.

Se Gucci ha perso la sua anima quando la famiglia ha perso il suo marchio, questo film è riuscito a riesumarne le macerie e a farne trasudare tutti i drammi e la “commedia dell’arte” che, per certi versi, caratterizzano l’indole del nostro stivale.

“House of Gucci” ha generato pareri molto discordanti tra la critica, ma per noi italiani questo film ha il sapore dell’amarezza. Quell’amarezza di aver perso una dinastia, un’etichetta consolidata e di prestigio e che oggi è, invece, diventata parte di una holding francese (Kering S.A.) che possiede una “collezione” di importanti marchi (Gucci, Yves Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Boucheron, Brioni, Pomellato) e che non renderà mai giustizia all’azienda familiare che un tempo era: unica e inimitabile.

Consigliato per adulti appassionati di moda, thriller e crime, in Italia uscirà nelle sale cinematografiche il 16 dicembre 2021.

Flavia Severin

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