Al Teatro Vittorio di Roma fino al 2 gennaio 2022
L’allestimento d’uno spettacolo richiede un intenso periodo di studio ed applicazione sul testo per impararlo a memoria, vedere se c’è qualche emendamento da fare per adattare meglio il copione ai personaggi o per consentire a questi d’ immedesimarsi nella parte così com’è stata prevista per loro dall’autore e poi, infine, bisogna trovare la giusta sinergia ed il ritmo, i tempi opportuni, per le battute. Di tutto codesto dispendioso lavorio d’applicazione e concentrazione mentale, scelta di regia per la recitazione già delineata dalle due tecniche pensate dal grande Pirandello, vogliono darci un’eclatante dimostrazione Chiara Bonome e Mattia Marcucci con il loro testo “L’opera del fantasma” ambientato nella sala prove d’un teatro dove gli attori con i fogli dei loro ruoli in mano stanno provando vestiti modernamente o come un sergente della Gestapo nazista, mentre le donne sono continuamente in bagno per idropisia e l’impegno preparatorio per la prima deve interrompersi tra incomprensioni e generale nervosismo. In tanto il fatto più grave è che nel suo camerino decede per un improvviso malore ed infarto il regista, che quindi assumerà i panni d’un fantasma ed andrà a spiare gli sforzi ed i commenti degli attori sul suo avvenuto trapasso che disegna una commedia nera ed imprevedibile, dato che alla sua morte s’aggiungono quelle dell’epica greca sullo sfondo del capolavoro omerico dell’” Iliade” con la decennale guerra di Troia, risolta con lo stratagemma del cavallo di Ulisse e Sinone compendiato nel celebre aforisma “Timeo Danaos et dona ferentes” per cui il condottiero di Itaca si trova pure nel XXVI Canto dell’Inferno. Stranezza del fantasma, che rivendica il fatto che anche gli altri attori siano con i loro personaggi dei fantasmi secondo la nota commedia edoardiana, è che possa interloquire con la sua vecchia compagnia ed apprendere che ognuno di loro per ripicca o gelosia avrebbe avuto il suo buon motivo per ucciderlo, dandosi adesso pertanto la colpa reciprocamente; tuttavia qui il testo tende a diventare con tali icastiche ed esilaranti situazioni – rivelazione di celati retroscena piuttosto farraginoso e confuso, non chiarendo meglio il profilo dei personaggi, o la loro interattività e lasciando emergere la principale tendenza a cimentarsi con la funzione di regista per spirito di dominio sugli altri. L’accuse e le discussioni inquisitorie si sommano ed intrecciano, reconditi aspetti si manifestano delle fosche coscienze dei protagonisti che si dilaniano a vicenda, mentre non si capisce più dove stia la verità : arresto cardiaco e collasso improvviso o delittuosa soppressione , realtà brutale o semplice suggestione e fantasia ? Intanto sulla scena naturalmente riecheggiano il nome di Achille e del sommo Giove, in onore del quale ogni 4 anni si tenevano le gare panelleniche ad Olimpia, oppure Nemea, Corinto o Delfi. Il copione quasi si scioglie, liquefa o si ripiega su stesso, smarrendo una lineare organicità e gli attori diventano quasi dei personaggi che girano a loro modo senza una guida registica, sempre per rimanere nella teatrologia pirandelliana. Insieme agli autori prendono parte alla recitazione pure Simone Balletti, Valerio Camelin, Sebastian Gimelli Morosini ed Enrica Pintore. La tersa scenografia d’una sala studio è stata disegnata da Giorgia Dipietrantonio, le musiche invece per sottolineare l’andare e venire degli attori senza la “quarta parete”, eliminata dallo scrittore agrigentino, sono state curate da Gianmarco Palluzzi. La comica ed un po’ stravagante “ black comedy” resterà al Vittoria fino al 2 gennaio con orario festivo sempre alle 17,30.
Giancarlo Lungarini