Trionfa alla Scala la musica di Vincenzo Bellini

Data:

Il 21 gennaio 2022 al Teatro alla Scala di Milano

Mancava dal Teatro alla Scala dal 1987, quando la diresse Riccardo Muti, protagoniste June Anderson e Agnes Baltsa.  I Capuleti e i Montecchi – sesta opera di Vincenzo Bellini – è la partitura che sancisce la maturazione artistica del catanese, cui faranno seguito solo grandi capolavori. Melodramma andato in scena alla Fenice di Venezia nel 1830 – mentre il compositore curava la messa in scena de Il Pirata su quel palcoscenico. Giovanni Pacini avrebbe dovuto comporre per la stagione di Carnevale un’opera nuova ma si ritirò dall’impegno vuoi per malattia (diplomatica?) o in realtà per gli eterni ritardi e inadempienze del librettista Romani. Il compito fu allora fu affidato a Bellini – la cui opera stava trionfando sul teatro veneziano – che accettò di buon grado. Non essendoci più molto tempo, Romani riutilizzò una verseggiatura di un Giulietta e Romeo musicato in precedenza da Vaccaj. Il soggetto allettava Bellini, ricco com’era di passioni tenerissime che potevano dar vita e calore al suo ingegno. La storia di Giulietta e Romeo non è derivata però da Shakespeare – in quegli anni ancora scarsamente conosciuto – ma dal cinquecentesco Dal Porto. Ripresa dal Bandello divenne popolarissima, dando vita a varie rielaborazioni: oltrepassò la Manica, si diffuse in Spagna, dove Lope de Vega ne ricavò una con conclusione felice. Vincenzo Bellini intuì che nel Romeo e Giulietta vi erano inscindibilmente intrecciati “ciò che v’ha di più dolce e di più amaro; l’amore e l’odio; feste giulive e sinistri presentimenti; ara nuziale e stanza funeraria; la pienezza della vita e il nulla della tomba”. Tutto questo il genio musicale del compositore catanese seppe tradurlo – con sapienza e mestiere – in un’efficace partitura, riuscendo ad ammaliare con l’apparente semplicità e l’inventiva melodica, la delicatezza della scrittura vocale e la perfetta struttura drammatica. La parte en travesti di Romeo è un nostalgico lascito del tramontato periodo dei castrati ,  che aveva lasciato traccia nei ricordi del musico Crescentini, primo interprete nel Romeo e Giulietta di Zingarelli (maestro di Bellini a Napoli) in prima esecuzione nel 1796 al Teatro alla Scala. Quest’opera,  considerata il suo capolavoro, rimase in repertorio in Italia per alcuni decenni anche nel secolo successive ed il ruolo di Romeo fu una delle parti favorite sia di Giuditta Pasta, sia più tardi di Maria Malibran. Primedonne che dopo Giuditta Grisi, creatrice del ruolo a Venezia, faranno del Romeo belliniano il loro cavallo di battaglia. Ligia la Pasta ai dettami del compositore catanese mente la più capricciosa Malibran per cantare l’aria “Ombra adorata aspetta” popolarissima ai tempi, arriverà a sostituire l’ispirazione di Bellini con le più convenzionali forme di Vaccaj. Aria che non è neanche del Vaccaj ma del succitato Crescentini! Mescolanza di stili che, pur in tempi di florida produzione teatrale mostra il relativo rispetto per la musica. Vero che l’edizione diretta da Abbado nel 1966 con un Romeo tenore non era “storicamente informata” ma dopo quasi cent’anni dall’ultima comparsa sul palcoscenico del Piermarini fu capace di rievocare atmosfere e luoghi. Speranza Scappucci, prima donna italiana a dirigere al Teatro alla Scala, decisa e scattante nell’ouverture, mostra un personale utilizzo di tempi per creare l’atmosfera pre romantica, cifra stilistica del melodramma senza rinunciare a una logica narrativa. Ne risulta una direzione alterna, con tinte orchestrali pregnanti come il finale del I atto, ma è nei momenti elegiaci che dà il meglio. Efficace nel mettere a proprio agio i cantanti che sostiene anche se con tempi e riprese eccessivamente dilatati. I “da capo”, se sono variati, lo sono con un pudore eccessivo. Tebaldo era impersonato dal cinese Jinxu Xiahou, voce di tenore dal leggero vibrato, che nella cavatina di sortita, E’ serbata a questo acciaro, mostra i suoi intenti: un gradevole canto ma in cui l’interpretazione e la storia degli affetti rimangono estranei, un’interpretazione lirica senza traccia di drammaticità; una linea esclusivamente belcantistica che meglio si adatta al seguente L’amo, ah! L’amo, poco espressivo sempre. Il coreano Jongmin Park presta a Capellio gran volume di voce ma stentorea e fuori stile, di scarsa attrazione e lacunosa definizione dell’austera e autoritaria figura del capo dei Capuleti. Lisette Oropesa era Giulietta, vestita in scena da sposa, pronta con Eccomi in lieta vesta e successiva aria Oh, quante volte a catturare l’attenzione grazie a un timbro venato di malinconici riflessi che ben sposa il personaggio, trovando patetici e sospirosi accenti; pur non impeccabile nell’attacco e con una “messa di voce” non perfettamente sostenuta. Sempre efficace nei duetti con Romeo – dove oppone al partner, eterno ragazzo, una saggezza dolente – insieme giungono nell’Ah! Crudel a fondere le voci e pervenire a punte d’incanto romantico. In Morte io non temo, con un timbro piangente impreziosito da filature e attacchi degli acuti in pianissimo – di grande fascinazione – e ancor più nel seguente Ah! non poss’io partire porta il pubblico a esplodere in un incontenibile applauso a scena aperta. Marianne Crebassa, presta a Romeo un timbro mezzosopranile non particolarmente brunito, che stenta un poco a differenziarsi nei duetti con Giulietta ma penetrante e scintillante nell’ottava superiore, acuti squillanti e quasi sempre immascherati; amplia artificiosamente con suoni poitrinè – pur ben presentati – mascherando la scarsità di risonanza del registro basso. Si fa notare per il giusto phisique du role che la avvantaggia nel rendere la giovanile baldanza di Romeo, la sua intemperanza nella cavatina Se Romeo t’uccise un figlio in cui trova accenti di dolente sincera partecipazione espressiva e nella concitazione guerresca della seguente cabaletta La tremenda ultrice spada. Termina con uno struggente finale secondo, sulla tomba dell’amata (in realtà reimpiego del triclinio dove avevano amoreggiato innanzi i due…).Michele Pertusi, pur efficace Lorenzo nell’azione scenica, mostra uno strumento vocale usurato. Lo spettacolo ideato da Adrian Noble, regista e Tobias Hoheisel e Petra Reinhardt per scene e costumi è incentrato su due bande rivali ma l’idea resta tutta in superficie, poco credibilmente sviluppata. L’azione registica sembra allora essere un pretesto, tanto a prevalere è la rarefazione del canto belliniano, pura astrazione e sospensione dell’azione. A partire da un interno spoglio, la narrazione alterna scene drammatiche a momenti amorosi, non disdegnando virate al buffo, come nel banchetto con ridicoli camerieri e gran torte che ricordano la Cenerentola di Ponnelle. Il momento migliore lo trova nell’isolare, nella stanza a parati vagamente preraffaelliti – l’incontro e il duetto delle due amanti veronesi, riducendo gli spazi e raccogliendone il canto in intima atmosfera. Il presunto fratello ucciso deambula a più riprese e spegne la candela di Giulietta (spegne le sue speranze?) unitamente ad altre libertà e incongruenze registiche. Una per tutte: l’urna m’aprite… Successo festosissimo per tutti, con ovazioni per Crebassa e Oropesa, unitamente alla festeggiata Scappucci. Recita del 21 gennaio.

gF. Previtali Rosti

 

ph Brescia e Amisano

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