FESTIVAL DI BERLINO: INAUGURAZIONE

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BERLINO, 11 FEB – Berlino ha inaugurato la sua 72a edizione. Un Festival Internazionale nel mezzo di severe misure sanitarie che hanno tolto tutto il lustro degli anni, in un clima di pandemia che non cessa da due anni modificando le abitudini pubbliche e private.
Così, invece di assistere ai festeggiamenti di inaugurazione, sfilate di stelle del cinema mondiale e massicci raduni in omaggio alla settima arte, troviamo strade poco illuminate, cartelloni pubblicitari che impediscono alle persone di avvicinarsi al palazzo del festival, ai camion e ai negozi che distribuiscono ogni giorno dalle 7 alle 3 del mattino centinaia e centinaia di test antigenici per conformarsi alle direttive governative, che non si fidano del triplo certificato di vaccinazione.
In questo clima depressivo che non è coerente con la parola stessa di festival, la 72° Berlinale cerca di essere all’altezza di prima manifestazione cinematografica dell’anno in Europa, che si celebra in presenza (Rotterdam e Sundance erano stati costretti a farlo da remoto e in streaming).
Come anticipo a questa sensazione di depressione, anche i film sono molto in sintonia. Infatti, i primi film in concorso, l’austriaco “Rimini” di Ulrich Seidel con la sua descrizione del triste declino di un famoso cantante, e il francese “Peter von Kant” di François Ozon con la sua storia d’amore non ricambiata tra un regista maturo e la sua giovane scoperta. Seidel, uno dei migliori documentaristi austriaci, è diventato famoso con la trilogia “Paradies”. dove raccontava con macabro sapore di kitsch, storie di disadattati che cercavano di superare più degnamente possibile, la sordità della loro vita quotidiana.
In una Rimini insolitamente nevosa e nebbiosa per essere una delle più belle riviere popolari dell’Adriatico, lavora il cantante dal passato famoso Ritchie Bravo. Una sorte di Casanova trasferitosi in riviera in un passato a noi sconosciuto, che intrattiene gruppi di turisti anziani austriaci con le sue vecchie canzoni di successo. E per arrotondare non disdegna affatto denaro derivato dalla sua abilità sessuale.
Nella sua vita, ignara di ogni ipotesi di autocritica, si presenta una figlia abbandonata da anni, che non solo chiede il pagamento della sua educazione ma porta in casa sua un intero caravan di profughi siriani. Un film malinconico esasperato fino alla depressione, “Rimini” è il nuovo tentativo di Seidl di respingere lo spettatore con un film che disgusta e allo stesso tempo affascina.
Ozon è uno dei registi più prolifici del cinema francese. Classe 1967 e 47 titoli in quasi altrettanti anni nella sua carriera, i suoi film hanno la particolarità di non essere incasellati in uno stile, ma tutti cercano di sorprendere in ogni momento lo spettatore.
Lanciato in tutto il mondo nel 2000 da questo stesso festival a con “Gocce d’acqua fredda su pietre calde”, ispirato a un suo testo amato Rainer Werner Fassbinder, Ozon ritorna con un altro argomento da cui proveniva il figlio terribile e grande innovatore del nuovo cinema tedesco: “Peter von Kant” infatti è il remake de “Le lacrime amare di Petra von Kant” con una sostanziale differenza: il protagonista non è più uno stilista che si rovina la vita per un nuovo amore, ma un regista che fa la stessa cosa, con il suo giovane nuovo attore.
Denis Ménochet, il protagonista, fa del suo personaggio, un uomo arrogante ma anche schiavo dei suoi desideri, e che ha anche una somiglianza fisica con lo stesso Fassbinder, affiancato da una resuscitata Isabelle Adjani, un’attrice di successo. Il film fa della teatralità una virtù e Ozon ci sorprende ancora con una maestria narrativa che onora la sua lunga carriera.

Antonio M. Castaldo

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