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LA LUDICA E FANTASTICA CREATIVITA’ ARTISTICA  AL CHIOSTRO DEL  BRAMANTE. PAVIMENTI  A VETRI INFRANTI, VOLO INFINITO DI FARFALLE E GIOCONDO INCANTO DI COLORI

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Raramente c’è capitato di visitare una mostra imponente non solo per la serie innumerevole di opere esposte con un pianificato ordine di crescita esponenziale per stile ed organica selezione suggestiva dei lavori allestiti, ma pure per la suggestiva impronta dei capolavori espressione libera dell’immaginazione dell’artista e spesso didascalicamente riletti contro l’ottica naturale e la prima intuizione della nostra mente. Tanta genialità l’abbiamo riscontrata nell’esposizione “LA Follia nell’Arte Contemporanea” al Chiostro del Bramante, dietro la stupenda piazza Navona o Stadio di Domiziano con l’eccelso barocco di Bernini e Borromini, dove 21 artisti internazionali riempiono ogni spazio con la loro vena d’estrosa incandescenza realizzativa con invenzioni impensabili supportate da ricchi ed illustrativi pannelli, che servono a capire la singolarità della composizione. Se Jarr s’impone per le sue scintillanti scritte al neon, tra cui la dantesca “Uscimmo a riveder le stelle” ed il verso indimenticabile della lirica ungarettiana “ Mattina” racchiusa semplicemente in un vertice sublime “M’illumino d’immenso” che ci rimanda alla prima poesia del Leopardi “L’Infinito”, appena entrati c’accolgono sulla destra alcuni personaggi le cui teste sono sostituite da enormi pietre quasi ad indicare gli incubi ed i pensieri profondi, le paure ed allucinazioni, che incombono sull’uomo di oggi, mentre al centro del Chiostro recintato v’è il pavimento a vetri di Pirri che, calpestandolo, s’è rotto in mille pezzi. Entrati dentro ciascuna stanza ci riserva una splendida progettazione, quali ”Break” di Hirschhorn e “Svolta del Pensiero” per indicare come l’individuo sia spesso preda dei suoi turbamenti intellettuali rivedendo continuamente le proprie posizioni, per passare poi alle libellule di Echel Maon ed alle “Meteore” di Hardy, segue un tavolo con lavori minuscoli in pietre marroni simili a reperti fossili, mentre nella sala maggiore accanto si osserva un policromatico tavolo in legno di lampadine luminose ad intermittenza come un arcobaleno e quindi v’è un cielo di fiori pendenti con le loro campanule in cera lungo il corridoio al pianterreno, a fianco delle quali si può entrare in un impossibile negozio dove scatolette di pesce e carne sono affastellate come in uno di quei supermarket degli extracomunitari con all’esterno la scritta “It is not canned shop”.  V’è a pochi passi  un prezioso e lussuoso salottino nipponico con i soliti massi sul capo e quindi la sfarzosa ed originale, superba, creazione del messicano Amorales lungo le scale che conducono al piano superiore con 15000 farfalle nere che stanno per spiccare il volo ed occupare come uno stormo tutto lo spazio, similmente alle cavallette che distrussero l’Egitto. Sopra siamo accolti da morbidi velluti rossi e blu che ricoprono le pareti ed il soffitto come accoglienti  ambienti delicati e sofisticati su cui si aprono le singole stanzette con gli abiti di varia foggia e taglia di Bartolini ed i vestiti veneziani del’700 ai tempi di Casanova e Goldoni per i ricevimenti mondani od il Carnevale in maschera su piazza San Marco. Troviamo poi la spazialità di Lucio Fontana che con i tagli delle sue tele c’invita a guardare dentro l’opera e con il Labirinto a vetri che delimita il secondo piano c’induce a superare i limiti dell’orizzonte ed andare oltre il confine della realtà con un vorticoso giravolta e ripiegamento su se stessi quasi fossimo  nel labirinto di Creta tanti Teseo senza, però, il filo d’Arianna. Fuoriusciti a riveder la luce siamo attratti nella Sala delle Sibille di Raffaello ove giganteggia un’unica impressionante giottesca che avvolge le pareti laterali ed il soffitto con meravigliose figure angelicate e donne nude librantesi nel cielo del firmamento incastonato in azzurro. Per scendere le scale c’aspetta una straordinaria policromia vivace che funge da comodo e soffice tappeto che quasi stordisce i nostri sensi per la sua sfolgorante bellezza visiva e prima d’andarcene non resta che proseguire ad apprezzare la “Topoestesia” di Colombo che ha prodotto delle stupefacenti maschere in ferro dai mille profili umani. Insomma una superlativa esibizione sinestetica di capolavori inimmaginabili fino a ieri curata ottimamente dal critico d’Arte Danilo Eccher, che resterà aperta proprio per la singolarità dell’evento fino all’8 Gennaio del 2023 ed è assolutamente da non perdere per gli amanti della Cultura nelle sue differenti modalità espressive.

Giancarlo Lungarini

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