La poesia in dialetto grigionese di Bregaglia, Renata Giovanoli-Semadeni

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Oltre che nel Canton Ticino come è noto la lingua italiana è in uso anche in quello dei Grigioni unitamente al tedesco e al francese, le altre lingue della confederazione Svizzera, e al ladino. Segno e strumento stesso di una identità ben legata al proprio territorio anche nella promozione culturale della sua minoranza trova nell’attività dell’ Associazione Pro Grigioni Italia il fulcro della sua espressione ai cui Almanacchi collabora Renata Giovanoli-Semadeni, guida turistica e poetessa nel dialetto di Bregaglia, un piccolo comune nella regione Maloja (caratterizzato dall’essere l’unico di lingua  italiana e di religione protestante escludendo i comuni del valdese piemontese) nato nel 2010 dall’accorpamento di diversi comuni come il natio Vicosoprano . Autrice di presenza e attività vivissima nel mantenimento e nella promozione della cultura locale, ben riconosciuta e apprezzata nei diversi riconoscimenti alla sua opera (si veda tra gli altri nel 2021 il Premio del Grigioni italiano del concorso per la provincia di Sondrio e il Grigioni italiano per la poesia in dialetto) è nella scrittura in versi che l’incontro tra fondo della memoria e interrogazione del presente si va a incidere entro una riflessione ora attenta ora affettuosa e divertita e mai amara attorno ai motivi di un divenire sempre riconosciuto a partire da una condivisa partecipazione dell’insieme. Soprattutto, nell’attenzione costante al connubio uomo-ambiente, nella condizione stessa dell’umano, nella considerazione di un necessario procedere, di una non statica disposizione di fronte a ciò che nuovamente si è chiamati a fare, che non sempre è un male lasciare. Che poi è forse in questo l’originalità propria di una scrittura mai banale rispetto ad altre pur valide voci di poesia in dialetto, nella nitida luce di un amore sempre levato nel canto di una terra riportata nella grazia dei suoi racconti. Ecco allora l’accento nella risonanza di ciò che quotidianamente accompagnandoci, e condividendoci viene a coinvolgerci, e a chiamarci nell’opera di congiunzione, come detto tra memoria e presente, tra terra e continuità creaturale pienamente confermandoci nella responsabilità e nella dignità di un’opera aperta, mai disgiunta dalle sue origini. Comunità allora e natura nell’intreccio di un dialogo d’appartenenza che ha spesso nella figura dell’albero la concreta simbologia di una reciprocità di crescita, appartenenza e custodia, spettacolo allora, anche, di un arco di vita nel rassemblo di tutti i colori. Si veda il pino nell’omonima poesia, ritto nello sguardo alle sue montagne, nella forza di radici che lo “ancorano bene alla terra” (“àncoran/ben e la tera”), spettatore della vita che gli cresce e muta davanti, a sostenersi in compagnia di un larice come coppia che da sempre “ha vissuto assieme” (“à vivü insemal”), nella dimostrazione che “in buona compagnia”- “in buna cumpagnia”- le difficoltà si superano. Od ancora il salice di casa, custode di famiglia spuntato “sulla terra dello scavo” (“Sü la tera dal scäv”) a crescere coi figli tra giochi di sabbia e scuola, in inverno a mangiare gli uccelli le palline appese ai rami (“Ripari la casa dal vento/ e ci fai tanta compagnia”-“Tü ripara la ciäsa dal vent/e tü ‘s fa tanta cumpagnia…”). Di qui lo stesso tema dei ragazzi a farsi sovente occasione di piccole cartoline, di quadri del tempo riappreso tra ritualità domestiche (il dar da mangiare alle pecore, l’incontro con gli affanni e le fatiche dei campi) e ancora i giochi, le forme di conoscenza tra incontri e scontri infantili. Tempo interrogato tra l’altro proprio anche dal contrasto tra conoscenza e progettualità umana e forza, presenza di un natura che lo supera e lo travolge anche e a dimostrazione di una poesia che ben sa riapprendersi alle fonti principi dei suoi motivi, l’uomo nel legame con una terra che può appartenergli solo nella custodia. Ma a vincere, nel sottile fascino di un dettato il più delle volte come appena sussurrato, è a nostro dire un tono di quieta tenerezza, di dolce confidenza che non può non render cara questa poesia sempre all’insegna di una “buna fin e bun principi” (“buona fine e buon principio”) e a cui auguriamo tutta l’ispirazione che merita.

Gian Piero Stefanoni

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