17 Marzo – 20 Marzo 2022 al Teatro Lo Spazio di Roma
LE DONNE SEDOTTE, GODUTE E LASCIATE DA DON GIOVANNI SI RACCONTANO CON FASCINO E DOLORE
Una delle principali caratteristiche dl maschio latino, soprattutto se dotato delle giuste misure e fattezze fisiche, d’origini nobili od alto – borghesi, d’un buon patrimonio economico e ricchi investimenti, è quella di volersi imporre sulla scena mondiale come un invincibile conquistatore di belle donne, che gli consentano di riscuotere un ottimo successo di gossip a livello mondano e di soddisfare con piacere i propri istinti sessuali, specialmente con splendide giovani che potrebbero essere loro figlie. Questo dal mondo classico ad oggi è sempre accaduto, basti ricordare le istruzioni sensuali che il “poeta novus” Ovidio dava alla corte di Ottaviano Augusto nel circolo letterario di Mecenate con il trattato “ de Arte Amatoria”, il celebre impenitente libertino Casanova che fuggì dal carcere dei Piombi a Venezia dove era stato imprigionato per le sue malefatte sessuali ed adulteri ai danni dei titolati lagunari, per non parlare del Don Giovanni di Mozart con il suo fedele servitore Leporello nell’epoca romantica e per venire all’oggi con il “Signore di Arcore” che desiderava sposare l’avvenente Marta Fascina notevolmente più giovane di lui, per cui i figli tenendo alle loro ricchezze da ereditare, si sono fatti sentire ed il cavaliere s’è dovuto accontentare di giurare simbolicamente perpetua fedeltà a Marta nella splendida villa Germetto. Come poteva perdersi l’occasione per riproporre codesta tematica perenne a teatro e far divertire il pubblico che, pur temendo ancora gli esiti in rialzo della pandemia ed i pericoli della guerra per cui dal Ministero degli Esteri russo sono arrivate minacce persino all’Italia ed al ministro Guerini, è tornato a ballare abbracciato in discoteca con lunghe file all’ingresso per entrare? Logicamente c’ha pensato lo spazio culturale di via Locri portando in scena la lussureggiante commedia attraente, ammaliante ed esteticamente, ambientata come atto unico in uno dei picareschi bordelli suggestivi e diabolici prima che le “case” venissero chiuse con la legge Merlin. Una scenografica rivisitazione del luogo per migliorarlo ed adattarlo scenicamente c’è stato da parte della brava Laura Di Marco, che ha curato pure gli sfavillanti costumi con cui in piume, chiffon, gepierre in due pezzi o luccicanti vestiti bianchi lunghi con ampi spacchi verticali sulle gambe slanciate e morbide, od aperture conturbanti sul davanti, le attrici, impegnate nella narrazione a turno del loro rapporto sessuale senza amore, si sono esibite in interessanti “Flash – back” quasi per esorcizzare catarticamente i loro peccati venerei e le facili sottomissioni alle subdole promesse dello spregiudicato ed amorale Don Giovanni, contraltare sensuale de “Il Principe” politico di Machiavelli. Non mancavano nemmeno le maschere ed i mantelli neri, quale quello indossato da Leporello che nel prologo ha accolto la gente con una bella Vestale o più esplicitamente “maitresse” del “night club” , spiegando a chi non lo sapesse chi era Don Giovanni che catalogava con vanto l’ innumerevoli donne, oltre le centinaia, di cui aveva goduto l’amplesso. Invitò a cena il commendatore, padre di Anna che aveva stuprato da ultimo, ma il convitato di pietra si prese la sua rivincita in quanto, essendo agli Inferi, il suo contraccambio conviviale non poteva che avvenire nell’Ade e Don Giovanni v i precipitò tra le fiamme che lo divorarono come punizione delle sue nefandezze. Entrati nel club notturno, dalla magica aria sensuale con tanti piccoli divani, salottini e siparietti con musica, ciascuna delle “ mulieres” espone brevemente nell’atto unico di 90 minuti la sua esperienza. Dalla prostituta che gli diede l’orgasmo sfrenato e si fa toccare da uno spettatore per riprodurre l’eccitazione sensuale a quella che per superare un provino come comparsa teatrale dovette cedere alle lusinghe adescatrici, la terza che salvò il naufrago in mare e poi lo rivitalizzò con l’orgasmo, la stupenda donna slanciata con affusolate gambe da trampoliere che suona l’orchestrina, la seducente bionda che s’avvinghia appassionatamente all’asta insieme alle maliziose cubiste e troniste , per finire con l’ubriaca Zerbina che mostra come in quei localini si soddisfacessero i vizi sia del sesso che dell’alcol. Insomma suoni onirici, candele soffuse ed orge incentivanti appetiti sessuali per i giovani fidanzati e le coppie presenti. Le donne del lavoro di Luca Gaeta, attraverso la rievocazione del loro cedere alle richieste intriganti del cavaliere e farsene vanto ed onore, intendono espiare, con la tecnica narrativa del teatro nel teatro, le proprie colpe, come se si stessero confessando, avendo capito d’essere state solo sfruttate dall’orgoglio maschile, senza ottenere nulla in cambio, fuorché la vergogna d’essere state infamate in quanto trattate alla guisa di “ donne oggetto” dal maschio logorroico e megalomane. Don Giovanni potrebbe essere raffrontato a Mefistofele giacché in lui non v’è un minimo segno di resipiscenza, bada solo a prendere a cuor leggero, non avverte mai un sentimento tenero, non fa breccia nel miocardio delle sue conquiste, dovendo limitarsi unicamente a possedere i loro corpi. Le fa trasecolare e successivamente le abbandona traumatizzate , da cui sperano di guarire esternando quello che hanno sofferto. Questo florilegio è alla base del copione di Gaeta, similmente a “I fiori del male” di Baudelaire, che vuol indurre gli spettatori a riflettere su ciò che bisogna rimuovere dalla concezione dell’amore: è necessario eliminare il sesso senza romanticismo, cancellare gli istinti e le pulsioni sensuali, far prevalere la sfera sessuale come corona sublime della donazione spirituale, non semplicemente materiale.
Giancarlo Lungarini