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Alla Scala con “Don Giovanni”

Data:

Al Teatro alla Scala di Milano, Recita del 29 marzo

Don Giovanni, composto da Mozart nel 1787 per Praga, bisserà il successo ottenuto da Le Nozze di Figaro l’anno precedente. A Vienna, l’anno successivo, l’opera non susciterà però lo stesso entusiasmo. A una delle recite assistette l’Imperatore Giuseppe II che, pregato dal Da Ponte di emettere un giudizio rispose: l’opera è divina e può darsi sia più bella del Figaro ma non è un piatto per il palato dei miei viennesi. Riferita al compositore, senza scomporsi, subito sentenziò: lasciamogli il tempo di masticarla…Sarà dopo la morte di Mozart che Don Giovanni sarà riconosciuto come un capolavoro. La fortuna in Italia, per quel che riguarda l’Ottocento, è di una scarsa diffusione, a cominciare dalla Scala; soltanto cinque allestimenti tra il 1814 e il 1881, con un numero decrescente di rappresentazioni: dalle (per noi inimmaginabili) trentadue recite del 1814 alle due sole dell’ultima ripresa. Passato il furore verista ritroviamo, nel cartellone milanese, Don Giovanni nel 1929 (Donna Anna dalla preziosa vocalità, rara avis per quei tempi, di Giannina Arangi Lombardi, maestra della Gençer), per essere poi regolarmente presente fino all’Inaugurazione 2011, nella produzione firmata da Robert Carsen.  Un piacere rivedere l’allestimento del regista canadese in scena in questi giorni al Teatro alla Scala, coadiuvato per le scene da Michael Levine, costumi di Brigitte Reiffenstuel, coreografia di Philippe Giraudeau e luci curate da Carsen con Peter van Praet. Al suo apparire lo spettacolo aveva suscitato approvazioni ed entusiasmi; oggi si può dire abbia ulteriormente guadagnato in scioltezza ed efficacia, segnato da una regia efficace, centrata sul protagonista quale deus ex machina della vicenda che svela nel prosieguo il disegno di rovesciare lo stereotipo negativo del libertino, ribaltando sugli altri personaggi un’aura d’ipocrisia perbenista, oltre all’inevitabile fascinazione che porta le sue prede quasi a connivenza. Dopo la teatralissima apertura di sipario (o meglio, caduta di sipario), sorpresi dal coup de théâtre del protagonista che lo strappa, svelando un gigantesco specchio a riflettere la sala del Piermarini, un continuo gioco di quinte e specchi si sussegue vorticosamente e sembra che gli attori si guardino agire in scena. Mai un gesto casuale o superfluo, mai una trovata non motivata dal testo. La vertigine recitativa si propaga a tutta la compagnia di canto, in un agire spontaneo e fluido, quanto convincente, in cui Don Giovanni tutto regola e governa, burattinaio delle vite e sentimenti altrui, coronato dal cinico finale in cui il protagonista ricompare e saluta gli altri personaggi per vederli, loro sì, sprofondare all’inferno… Christopher Maltman ben incarna l’impenitente Don Giovanni: spigliato, insinuante e privo del minimo scrupolo nel conseguire l’appagamento dei suoi desideri. Voce abbastanza robusta dal non prezioso timbro, qualche rozza scivolata di gusto in un eccesso da basso-parlante, con inserti di grida e falsetti fuori posto. Agisce bene la scena con un’efficace penetrazione del senso della frase. Un Don Giovanni dall’insinuante fraseggio, ma vagamente vilain più che fine seduttore, non ricco di charme né sfumature (Deh vieni alla finestra). Debole Hanna Elisabeth-Müller, che proprio come Donna Anna aveva debuttato in questa produzione nel 2017.  Timbro di modesto appeal e scarso velluto, usuratosi nel ricordo della prestazione di cinque anni fa. Accettabile come interprete, ma approssimativa e imprecisa nelle colorature, che aggredisce e “strappa” mostrando zone disomogenee con asperità in acuti spinti o sforzati. Anche gli accenti non suonano granché drammatici, ché l’attuale corpo di voce la costringe a gonfiarli forzandoli.  Suona spesso inconsistente il registro basso (Or sai chi l’onore) e incespica nei melismi del rondò finale.
Alex Esposito festeggia il suo 150° Leporello, con un timbro sempre accattivante (anche se con meno smalto) e la riconosciuta dimestichezza con il ruolo. Questo non lo protegge dall’eccesso d’istrionismo che, se accettabile e gustoso in scena finisce però per sciabordare sul canto sporcandone la linea, soprattutto nel registro centrale in cui la voce sembra “grattare” per eccesso di foga e qualche cachinno di troppo.
Bernard Richter
torna a vestire i panni di Don Ottavio, anche lui presente nel 2017. Voce abbastanza squillante inizialmente, perde nel seguito consistenza; sfuma ma con la tendenza a sbiancare, efficace nel terzetto “delle maschere”, corretto senza essere particolarmente espressivo nell’aria prima, insufficiente nella seconda, si rivela un Don Ottavio più stilè che partecipe e innamorato: un algido amante, un interprete drammaticamente esangue e scarsamente passionale.  Emily D’Angelo è un’ottima Donna Elvira, bella voce, estesa e ben proiettata, omogenea nei vari registri. Accento furioso e scintillante nell’ Ah! fuggi quanto sicura nei passaggi di coloratura. In quali eccessi e ancor meglio in Mi tradì quell’alma ingrata mostra la sicurezza e il perfetto dominio dell’ardua vocalità di questo personaggio. Fabio Capitanucci è un sapido Masetto, generoso e sanguigno vocalmente quanto impetuoso scenicamente. Gunther Groissböck è Il Commendatore tanto scenicamente statuario quanto non imponente in timbro. Briosa Zerlina di Andrea Carroll, al debutto scaligero. Inizialmente voce un po’ leggera per il ruolo, pur con centri ben esibiti, poi acquista rotondità e piacevolezza. Molto musicale e con innato senso del teatro, sensualmente ingenua e raffinata vocalmente – Là ci darem la mano ma anche Batti, batti bel Masetto – e ancor più in Eh, via carino, mostra sagacia di canto e maliziosa sensualità del personaggio. La direzione di Pablo Heras-Casado, al debutto scaligero, è solida quanto incisiva, più attenta alla narrazione drammaturgica che a sfumature e ricercatezze, con qualche lieve squilibrio tra buca e palcoscenico, per l’impeto e passione. Concertazione pur varia, accompagnando e respirando con il cantante, narra con partecipazione, tenendo saldamente in pugno il fluire della partitura. Successo caloroso per l’intera compagnia di canto e per il direttore, con particolare entusiasmo per Esposito e la D’Angelo.

gF. Previtali Rosti

Foto Brescia e Amisano

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