al Teatro Manzoni di Roma, fino al 12 giugno 2022
La stagione divertente e sociale in chiave di studio farsesco della realtà contemporanea si sta concludendo con una brillante commedia del geniale e fantasioso comico Roberto D’Alessandro che per lui s’è ritagliato il personaggio d’un vedovo che, non sapendo più come fare dopo la morte due anni prima della moglie Annina, decide di risposarsi per risolvere i problemi casalinghi e dunque si rivolge ad un’agenzia polacca, che per 2.000 euro gli manda una giovane onesta e pulita di bella presenza. La sorella Mena, che Federica Cifola incarna con sussiegoso dipendenza alternata a scatti a tratti di ribellione, lo rimprovera per la scelta al buio ed in quanto lui non l’elargisce molti soldi per le vivande della cucina e perciò non sa come preparare con gusto, dato che lui preferisce una mensa povera per risparmiare il denaro assomigliando all’Arpagone di Molière. Per fare bella figura Durante decide di spendere qualche Euro in più e Mena compra 5 aragoste, che Durante per non venir meno ai suoi principi, ordina di surgelare ed intanto arriva la bionda dell’Est sposata per procura, che desidera vivere bene, andare dal parrucchiere e telefonare in patria alla mamma. In casa c’è pure il cognato Ciro Cantalamessa, impersonato da uno straordinario Enzo Casertano, che non avendo un lavoro versa 700 euro di pigione, porta il parrucchino e cerca di trovare un impiego al nipote Geppino neghittoso, accidioso ed inetto che non vuol far nulla e quando diventa “dog- sitter” fa investire il cane e Durante deve sborsare 300 euro per il funerale. L’ambientazione è quella tirrenica di Ladispoli che rimane esterefatta di fronte alla straniera che si rifà il trucco, comparendo quale appariscente bionda che circuisce sia Geppino, i cui panni di ragazzo scansafatiche sono indossati da Giorgio Sales; Ciro è accusato di scialacquare i soldi al telefono , naturalmente ingiustamente, dal padrone di casa allorché giunge una bolletta telefonica di 525 euro, che Durante si rifiuta di liquidare e, per dare più credito al suo imperioso atteggiamento, finge d’avere avuto un infarto che gli causa una semiparesi, che lo costringe su una sedia a rotelle con un’apparente perdita della parola. Poi la sorella scopre la verità, giacché le bugie hanno le gambe corte, ricattandolo con la promessa d’una grossa cifra, ma la seconda moglie stanca di questo intricato caos, del fallimento della relazione sentimentale sorta in modo venale, adducendo la motivazione che i suoi genitori sono più leali, sinceri ed onesti pur nella povertà, se ne va tornando nella terra di San Giovanni Paolo II e lascia tutti costernati, eccetto Durante che, reputando di poter finalmente ricominciare a respirare, chiede alla sorella Mena di scongelare un’aragosta per festeggiare, mentre lui smette l’inganno e recupera la piena efficienza fisica. L’avvenente figura di nuova consorte fulva e seducente è resa con sublime bravura ed icastica satira frizzante da Maria Cristina Gionta, che per l’occasione s’è riciclata come perfetta attrice da regista che avevamo conosciuto. Dunque la lezione pedagogica che si può trarre dal testo del funambolico D’Alessandro è che si riconferma l’adagio “ mogli e buoi dei paesi tuoi” e la necessità di smussare gli angoli del nostro carattere per renderci simpatici ed accettabili dagli altri, soprattutto nelle convivenze familiari. La regia della pièce è firmata dall’oculata, sagace ed abile , accorta , mentalità ed esperienza del regista Silvio Giordani, che aiuta anche validamente l’attore e regista Pietro Longhi direttore del Centro Teatrale Artigiano nella conduzione dei teatri Manzoni e Roma. I costumi della cellula domestica medioborghese sono stati creati da Lucia Mariani e lo spettacolo resterà in programmazione nello spazio culturale di via Monte Zebio, vicino Piazza Mazzini e dietro alla RAI, fino al 12 giugno.
Giancarlo Lungarini