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Trionfa Otello al Comunale di Bologna

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In una città infiammata dal caldo, ha preso il via il ciclo di recite di Otello di Giuseppe Verdi, nella nuova lettura registica di Gabriele Lavia, che era stato sospeso a causa del secondo lockdown nell’autunno del 2020, a un passo dal debutto. Dramma lirico in quattro atti su libretto d’Arrigo Boito, Otello ebbe la sua prima trionfale esecuzione al Teatro alla Scala di Milano il 5 febbraio 1887, con Francesco Tamagno, Otello, Victor Maurel nella parte di Jago e Romilda Pantaleoni quale Desdemona; direttore Franco Faccio.  Sedici anni dopo aver composto Aida, sembrata a molti la vetta di gloria della lunga carriera musicale verdiana, il bussetano stupì il mondo musicale componendo Otello: a settantaquattro anni Giuseppe Verdi mostrò, dopo tanti dubbi, che il fiero spirito creativo che gli ardeva nel petto, non solo era ancora vivo, ma bruciava incessantemente. Nell’inverno del 1879 Boito aveva presentato al musicista un testo scritto di propria iniziativa, tratto da Shakespeare, che il compositore, favorevolmente colpito dalla bellezza del testo letterario, si affrettò ad acquistare senza tuttavia impegnarsi a metterlo in musica. Lo scrittore, con il suo libretto (geniale parafrasi della tragedia), cooperò in modo efficace all’evoluzione delle ultime opere del musicista. Nettamente superiore ai libretti musicati in precedenza musicati da Verdi, quello d’Otello ha pregi letterari sia nello svolgimento del dramma sia nella versificazione, accanto a palesi pregi teatrali, altrettanto considerevoli per la forma moderna e artistica della sceneggiatura. Il compositore pensava alla tragedia fin dal 1880 e lavorò alla stesura dello spartito dal 1884 al 1886, cosicché si può affermare che Otello sia l’opera più meditata del musicista bussetano. Nell’intervallo di sedici anni che intercorre tra Aida e Otello, Verdi rimase attento agli sviluppi che la musica aveva conosciuto: questa partitura è essenzialmente moderna tanto nello spirito che nella tecnica compositiva. Musicando questo testo dimostrò di possedere una sorprendente “gioventù creativa”, frutto di una vita d’esperienza musicale e drammatica che gli consentì di creare un tipo nuovo di melodramma. Indubbiamente tutto ciò conferisce alla partitura una posizione unica, all’interno della storia della musica. Otello è opera veramente nuova, frutto di una lunga maturazione di mezzi espressivi, di un tormentato e personalissimo accostamento alle nuove teorie sul dramma musicale (Wagner è di moda nelle discussioni) e insieme espressione di una pienezza vitale che sembra contrastare con l’età del compositore. La caratterizzazione dei personaggi è geniale: nello spartito verdiano è difficile scoprire degli stacchi netti fra “brani melodici” e “recitati”, tra arie e recitativi, perché tutto si fonde senza cesure. Altrettanto arduo è stabilire se il dramma scaturisca per suggestione del canto, che amplia e moltiplica musicalmente il significato della parola o per l’accresciuta magia dell’orchestra, che sviluppa i temi musicali di pari passo con il canto. Verdi osò molto, e altrettanto grande fu la sfida che osò intraprendere. Realizzò con successo quello che pochi avevano osato fare: misurare la propria abilità con quella di Shakespeare. E’ sempre arduo l’impegno di allestire la penultima opera del Maestro di Busseto ma Gabriele Lavia e lo scenografo Alessandro Camera l’hanno affrontato con intelligente parsimonia, scegliendo un impianto fisso in cui un gran velo, sopra una pedana fissa, la fa da padrone, adattandosi con semplici cambiamenti di colore alle diverse situazioni della vicenda e lasciando libero campo all’immaginazione (ormai tarpata) dello spettatore. Gabriele Lavia, vero uomo di teatro, chiarisce nelle sue note di regia che: …l’inizio dell’ Opera con la “tempesta”: “Una vela… Una vela!” riunisce in sé e simbolizza in maniera sconvolgente la “tempesta della mente e dei sentimenti”… così facendo emergere la profonda psicologia dei protagonisti della tragedia per mettere al centro dello spettacolo il canto. Ottima direzione del Maestro Asher Fisch, alla prova con una partitura, quella verdiana, dai marcati tratti sinfonici che richiede un vigore e una confidenza orchestrale che la puntuale Orchestra del Comunale bolognese ha mostrato di possedere. Una direzione, quella di Fisch, approfondita e ricca di sfumature, capace di rendere con pari intensità sia il pathos di certe arie sia la velleitaria esplosione dei momenti guerreschi. La tensione della Tempesta iniziale è tutta nella musica e nel canto, conclusa visivamente dal tableau vivant di mimi. E il coro, ieraticamente statico, sul fondo. Concertatore di livello, segue con attenzione i cantanti e riesce nel non facile compito di legare palcoscenico e flusso sonoro orchestrale. Ricchezza di colori orchestrali disseminati lungo la partitura, con particolare sbalzo nei momenti lirici e nei concitati scambi fra i due amanti, in cui si scatenano in orchestra le emozioni e i contrasti, come il particolare rilievo dato al doppio duetto Otello /Desdemona e Jago/Emilia. Otello, per le prime due recite, era Gregory Kunde, che dall’alto dei suoi sessantotto anni, impavido, affronta ancora la parte del Moro (a dieci anni dal debutto) con intensità e spessore drammatico sorprendenti. L’impeto non gli difetta, a cominciare dal fatico Esultate! reso con squillo e veemenza stupefacenti e sostenuti per tutta l’opera: una tenuta vocale che gli permette di arrivare al termine senza sfiancamenti per i continui sbalzi sostenuti dalla voce. La parte è improba e scandaglia il ruolo protagonistico a fondo, la sua interpretazione non scivola mai nel convenzionale operistico, trovando sempre accenti convincenti. Artista vero, non fatica a immedesimarsi nel personaggio, reso nelle più sfaccettate pieghe, anche con una gustosa mimica facciale che lo fa attore credibile. L’interpretazione del duetto d’amore del I atto è commovente, Ora e per sempre struggente, Si pel ciel dall’impeto incontenibile. In Dio mi potevi scagliar da una lezione di recitazione e il suo Niun mi tema ha punte di struggimento accorato per lasciar spazio alla dolente mestizia del finale. Le mezze voci suonano spesso opache, come vuote risultano le rare incursioni nel registro basso (poche in verità) ma la voce è sempre raggiante quando può espandersi. Infine l’impegno e la generosità profuse da Kunde danno poi ragione dell’entusiasmo che sempre suscita in ogni personaggio che interpreta.  Accanto a lui, Franco Vassallo, Jago motore infernale della vicenda. Sottile e perfidamente insinuante, sfrutta le caratteristiche di un timbro vagamente sabbioso e non indenne da mende vocali, quali acuti spinti e spesso aperti, o imprecisioni (Beva, beva, con me) che macchiano la linea di canto, mentre è convincente nelle smorzature e nella variegata dinamica vocale. Rilievi questi che non riescono a influire sulla sua personale e convincente interpretazione, perché li piega ai fini di servire il personaggio, scolpito da un fraseggio approfondito e variegato, che trova il momento di maggior gloria nel duetto con Otello, sottolineato dall’entusiasmo del pubblico. L’attore se la cava con molta disinvoltura, grazie anche a un physique du rôle che gli permette una perfetta identificazione con Jago senza ridurlo a un vilain di stupida cattiveria senza sottigliezza psicologica. A Desdemona prestava la bella voce di soprano lirico, calda e omogenea Mariangela Sicilia, dal timbro luminoso e ricco, capace di rari preziosismi vocali e sfumature. Del pari come interprete, tenera amante appassionata, ma ferma nel rintuzzare i sospetti dell’amato, quanto poi dolente e rimessa alla “malia” che ha colpito Otello. Sublime per intensità e purezza di canto in Le prime lagrime e trova accenti d’assoluta commozione nella Canzone del salice. Brava attrice, ben sicura nel tenere la scena. Il resto del cast vedeva Marco Miglietta nel ruolo di Cassio, sicuro nel canto e credibile in scena, sapido Lodovico di Luciano Leoni, preciso Montano di Luca Gallo, povero di volume il Roderigo di Pietro Picone e mediocre Emilia di Marina Ogii. Buona la prova del Coro. Accoglienza calorosissima per tutti, ma con veri boati di entusiastica approvazione per i tre interpreti principali e il direttore. Teatro Comunale di Bologna, recita del 26 giugno.

gF. Previtali Rosti

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