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UN TUFFO  NELLA STORIA DI MERCATO SAN SEVERINO IN PROVINCIA DI SALERNO: UNA CITTÀ PIENA DI COLORI E RICCA DI SFUMATURE  SPAGNOLE, FRANCESI, INGLESI E TEDESCHE.

Data:

Intorno alla fine del II° Secolo a.C., a Salerno, un muro partiva dal lato ovest e scendeva fino all’attuale Via Tasso con tre porte: Porta Nocerina che conduceva verso Nocera, Porta di Mare rivolta verso la spiaggia, e Porta Rotese che prendeva il nome dell’antica città Rota, oggi Mercato San Severino. La stessa,  ricordata nel Catalogus Baronum (1150-1168 registro stilato in epoca normanna nella curia di Palermo consistente in un elenco dettagliato del servizio militare che serviva per allestire il “MAGNUS EXERCITUS” del re in difesa del regno come nell’Inghilterra normanna e nel ducato di Normandia. Il registro in oggetto, ebbe inizio nel 1150, durante il regno di Ruggero II. In merito ad un primo esperimento di burocrazia centralizzata; fu revisionato per l’ultima volta nel 1167 e nel 1168, all’epoca della reggenza della regina Margherita, moglie di Guglielmo I d’Altavilla), nel corso dei secoli  ha subito varie trasformazioni: in primis semplicemente Mercato, nel 1864 Mercato San Severino; nel 1934  San Severino Rota e dal  1945  definitivamente  Mercato San Severino. Sede del gastaldato longobardo, dal 1067  risulta soggetta al normanno Turgisio. A seguire fu fortificata durante la dominazione angioina  per poi  ingrandirsi sotto Tommaso III Sanseverino figlio di una nobile famiglia appartenente al regno di Napoli di origine normanna, il cui nome deriva dalla contea dei Sanseverino, assegnata da Roberto il Guiscardo al capostipite Turgisio nel 1045. Il casato possedette un notevole numero di feudi (oltre 300 nei suoi tempi migliori) composto da contee, marchesati, ducati e principati. I suoi membri ricoprirono importanti cariche nel regno di Napoli: furono soprattutto viceré, marescialli, condottieri e cardinali. Tra i maggiori esponenti del casato Ruggero (XIII secolo) che combatté valorosamente per Carlo I d’Angiò a Benevento (1266) contro il re Manfredi. Nel XV secolo Roberto, condottiero (1418-1487), prestò i suoi servigi allo zio Francesco Sforza duca di Milano, alla morte del quale governò per breve tempo la città; in seguito fu al servizio del re di Napoli Ferdinando I d’Aragona, dal quale nel 1461 fu nominato conte di Caiazzo; tornato a Milano ed entrato in disaccordo con Ludovico il Moro, passò al servizio della repubblica di Venezia e al comando delle truppe. Cadde in battaglia a Calliano contro il conte del Tirolo Sigismondo d’Asburgo. Valoroso condottiero fu anche Ferrante o Ferdinando (1507-1568), principe di Salerno: combatté per Carlo V in numerose battaglie ma, essendo contrario all’Inquisizione che gli spagnoli volevano introdurre all’interno del regno, fu accusato dal viceré Pietro da Toledo di infedeltà all’imperatore e fu costretto a rifugiarsi in Francia, mentre i suoi feudi vennero confiscati dalla Spagna; il suo progetto di rientrare a Napoli e a Salerno con navi francesi e con l’aiuto dei turchi fallì per il mancato arrivo di questi ultimi; morì senza figli in Francia e con lui si estinse il ramo primogenito dei principi di Salerno. Storicamente parlando invece, il più importante è considerato quello dei principi di Avellino con Domizio. I suoi esponenti acquisirono anche il titolo di gran cancelliere ereditario del regno di Napoli (1609) e di Grande di Spagna (1708). Tra i principi di Avellino si distinse Camillo (1563-1617), duca di Atripalda, celebre e ricchissimo condottiero che combatté per Filippo II di Spagna. Per il ramo dei marchesi di Brienza  Francesco (1752-1799), ammiraglio e martire della rivoluzione napoletana, morto impiccato per alto tradimento. I Pisquizi invece, il cui capostipite fù Filippo Caracciolo Rossi, si divisero in varie linee, tra cui quelle dei Caracciolo del Sole e dei Caracciolo del Leone: ai primi apparteneva Giovanni (1487-1550), principe di Melfi dal 1520, grande condottiero al servizio della Spagna e poi della Francia, eletto maresciallo di Francia da re Francesco I e suo luogotenente in Piemonte dal 1545; ai secondi è da ascrivere uno dei personaggi più importanti della famiglia, Giovanni, detto Sergianni (1372 circa-1431), potente politico napoletano, favorito della regina Giovanna II d’Angiò e da lei nominato gran siniscalco del regno di Napoli e conte di Avellino (1418). Dai Pisquizi discesero anche i marchesi di Villamaina, i marchesi di Bella, i duchi di Martina (dal 1507) e i duchi di Celenza (dal 1609 al 1720); a questi ultimi appartiene Ascanio, meglio noto come San Francesco Caracciolo (1563-1608). Infine,  tornando ai giorni nostri, spostando l’attenzione sul territorio e un passato più recente, anche  numerosi monumenti, risparmiati dal violento terremoto del 1980, impreziosiscono Mercato San Severino e i suoi dintorni a testimonianza della sua illustre storia: fra tutti spicca il castello di origine longobarda ma interessanti sono anche la chiesa di Santa Maria delle Grazie, del 1591, la chiesa di San Giacomo, edificata nel XVI secolo, il trecentesco convento di Sant’Antonio e infine palazzo Vanvitelli. Una storia interessante quella del palazzo che ruota intorno a Vanvitelli.  Quasi sicuramente il suo ideatore è stato un discendente di una famiglia di artisti di origine olandese trasferitasi in Italia con Gaspare Vanvitelli, nome italianizzato di Gaspar Van Wittel, nato ad Amersfoort nel 1653 e morto a Roma nel 1736. Quest’ultimo si avvicinò alla pittura in patria. Si affermò come vedutista fin dal suo arrivo a Roma nel 1674. Nei suoi dipinti, che sono minute e accurate descrizioni di paesaggi e di città,  trasferì le impressioni colte ricavate dai viaggi attraverso tutta l’Italia, aggiungendovi un carattere tipicamente nordico, che con il passare degli anni si sciolse in tonalità più calde e luminose. La sua opera, che influenzò il Canaletto, si inserisce nella nascente cultura illuministica in contrasto con il tardo-barocco e il rococò. I suoi quadri sono conservati in numerosi musei italiani e stranieri. Suo figlio Luigi invece, nato a Napoli e morto a Caserta nel 1773, fu pittore, scenografo, architetto, urbanista e ingegnere idraulico. Avviato dal padre alla pittura, si volse ben presto all’architettura, diventando uno dei più eclettici architetti italiani nel periodo di transizione dal barocco al neoclassicismo. Nel 1735, a ventisei anni, fu nominato architetto collaboratore della fabbrica di San Pietro. Tra le sue opere a Roma sono da ricordare la costruzione dell’acquedotto di Vermicino nei dintorni di Frascati (1730-1732), l’ampliamento di Palazzo Chigi-Odescalchi (1745), la trasformazione di Santa Maria degli Angeli (1749) e la costruzione del convento degli agostiniani. Realizzò e restaurò edifici anche in Umbria e nelle Marche. Il suo capolavoro rimane però la reggia di Caserta, voluta da Carlo III di Borbone come luogo di residenza più sicuro. I lavori, che furono allo stesso tempo di architettura, urbanistica e ingegneria idraulica, iniziarono nel 1752 e proseguirono fino alla morte dell’artista. Questo imponente palazzo, che è una vera e propria cittadella, fu realizzato in stile rigidamente classico con qualche elemento scenografico barocco, presente soprattutto negli effetti prospettici degli interni, come per esempio la celebre Scala Regia. Tra le numerosissime opere che eseguì durante il suo soggiorno napoletano, si ricordano la chiesa della Santissima Annunziata (iniziata nel 1761 e portata a termine dal figlio Carlo nel 1782) e la chiesa dei Padri della Missione (iniziata nel 1760), entrambe a Napoli, il Foro Carolino (1760-1765), l’imponente acquedotto Carolino a Caserta (1753-1768) e i ponti di Eboli e di Benevento. Durante il periodo napoletano Luigi ebbe come allievo e collaboratore suo figlio Carlo, nato a Napoli nel 1739 e qui morto nel 1821. Dopo la morte del padre, Carlo fu nominato primo architetto di corte e diresse il completamento dei lavori della reggia di Caserta, sistemando il parco e il giardino all’inglese. Costruì inoltre il palazzo d’Angri (1755), la chiesa della Trinità dei Pellegrini a Napoli, palazzo Albertini a Cimitile, i giardini sulla spiaggia di Chiaia per Ferdinando IV (1778-1780) e il Casinò reale di Baia (1782). Nelle sue opere rivelò uno stile molto vicino a quello paterno, tra il gusto barocco e quello neoclassico. Ma non finisce qui, un’altra bellezza di Mercato San Severino è  la stazione ferroviaria. Posta al termine del tronco comune alle linee Cancello-Benevento e Nocera Inferiore-Mercato San Severino,  è capolinea della linea per Salerno. La stessa venne inaugurata insieme ad un tronco della ferrovia per Avellino nel 1861, mentre nel 1902 raggiunta dalla nuova linea per Salerno, si trasforma da semplice fermata in stazione vera e propria, per accogliere l’interscambio tra le diverse linee. Vengono infatti aggiunti nuovi binari ed aperti uno scalo merci, diversi magazzini ed un deposito locomotive.
Clementina Leone

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