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Andrea Chénier, amico della Patria

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Al Teatro Comunale di Bologna, ultima recita del 23 ottobre

Il melodramma più conosciuto di Umberto Giordano ha chiuso la Stagione 2021/22 del Teatro Comunale di Bologna. Opera in quattro atti, libretto di Luigi Illica, vide la sua prima rappresentazione al Teatro alla Scala il 28 marzo del 1896. Considerato uno dei più promettenti compositori della “giovane scuola”, formava con Puccini e Mascagni, il trio di compositori più famosi del periodo post-verdiano. Andrea Chénier, universalmente considerato il suo capolavoro, contiene passaggi di lirica bellezza alternati ad altri d’intensa drammaticità: in quest’opera la melodia avvince l’ascoltatore in maniera spontanea e sincera. L’armonia è semplice in maniera alquanto singolare, e l’orchestra, cui non sono demandati specifici compiti descrittivi, inquadra, integrandola, la melodia, che può espandersi in maniera appassionata e, in certi punti, francamente esaltante. Non è più il tipo di melodramma ormai sorpassato, con arie prefissate e in simmetrica alternanza, piuttosto un lavoro pensato in uno stile che ricorda le ultime composizioni verdiane. Il libretto di Luigi Illica mostra un quadro della vita in Francia poco prima dello scoppiare della Rivoluzione francese e poi durante questo turbolento periodo. Il librettista usa, nella trama della storia, dei personaggi realmente esistiti, come il poeta e patriota André de Chénier. Tre delle arie che il protagonista canta, si basano su poemi scritti dal vero Chénier: Un dì all’azzurro spazio (atto I), Credo a una possanza arcana (atto II) e Come un bel dì di maggio (atto IV). Quest’ultimo è la letterale trasposizione di Comme un dernier rayon, che una tradizione popolare vuole sia stato scritto nella notte precedente la sua morte. Questo non è sicuramente vero, ma lo è che fu creato durante la prigionia a Saint-Lazare. Rocambolesca la storia della composizione di Andrea Chénier, fonte di un romanzo in se stessa: Giordano, corso a Firenze per implorare l’intervento di Mascagni, gli salvò la vita, obbligandolo a scendere dal tram che poco dopo si schiantò, facendo morti e feriti. Non meno travagliata l’andata in scena alla Scala. Il tenore Garulli, titolare del ruolo presagendo un fiasco, si rifiutò di cantare. Illica salverà la situazione offrendo al celebre tenore Borgatti, di ritorno dalla Russia, di debuttare alla Scala (in cui non aveva mai cantato). La Stagione scaligera del 1896 non era stata ben accolta: La Navarraise di Massenet, Henry VIII di Saint-Saëns, non erano piaciute e persino Carmen di Bizet, cantata mediocremente, fu contestata. Questo il clima che regnava prima al debutto di Andrea Chenier. Gli applausi però scrosciarono subito: il giovane baritono Sammarco si guadagnò un’ovazione nella scena iniziale; il tenore Borgatti dovette bissare Un dì all’azzurro spazio e la calorosa accoglienza continuò sino alla fine dell’opera. Poi ci fu solo il trionfo. Titolo popolarissimo un tempo, ha bisogno di tre artisti in scena per tornare in cartellone: il Comunale ha puntato su un doppio cast di eccellenti professionisti per assicurarsi la riuscita. Il tenore americano Gregory Kunde, dopo la recente esaltante prova nel verdiano Otello, torna quale Andrea Chénier di accattivante figura scenica in un saggio di pregnante fraseggio e bella dizione. In Colpito qui m’avete travolge il pubblico con passione sincera e vivo sentimento. Vero che ingrossa artificiosamente un po’ i centri e la voce non è più ferma, e si odono riprese importune di fiato, ma esegue un Un dì all’azzurro spazio con accenti infuocati e di strepitosa intensità, con uno squillo negli acuti sempre fulminante. Come non percepire il dolente patriottismo e sguardo di pietà al genere umano sofferente? Salutato da un’ovazione. In Credi al destino? Trova accenti vibranti e innamorati che incantano (pur con suoni non sono sempre ben fermi): nessuna frase passa senza intimo fremito e perentorio è l’accento delle parole lanciate sugli uditori. Ora soave – pur con voce non ben sostenuta – è lezione di fraseggio, arricchita da smorzature espressive e commoventi. Segue Si fui soldato dallo scavo incisivo e scolpito della frase di ampiezza e ampollosità declamatoria associate al personaggio, che giunge al parossismo, nel ma lasciami l’onor con velature di stanchezza. Come un bel dì di maggio ha un legato impeccabile a rendere il senso di struggente partecipazione e, pur forzando un poco, lui stesso è travolto dalla passione della frase, ma sa come recuperare.  Vicino a te s’acqueta un duetto in cui le voci di tenore e soprano si fondono a meraviglia: non si sa più chi trascina chi, travolti e infiammati dalla bruciante passione che li precede al patibolo. Erika Grimaldi era Maddalena di Coigny, dal timbro caldo e ben proiettato, dai centri non particolarmente rotondi ma ben sfogata nell’ottava superiore, fulgida e splendente. Capace di finezze interpretative nell’Eravate possente; passionale nel duetto con Chenier con la cui voce si armonizza in bella intesa per giungere a Fino alla morte nel pianissimo di entrambi, salutato da un tripudio di applausi. In La mamma morta, s’impegna a fondo, nell’intenso fraseggio di giusta enfasi. Tende a suoni poitrinè per allargare i centri mentre suona splendidamente nell’ottava superiore dove omogenea è l’amplificazione. Lavora sullo scavo del personaggio in maniera progressiva, migliorando di atto in atto – inizialmente trattenuta- per giungere con Benedico il destino! all’apoteosi nel duetto finale. Roberto Frontali è un Carlo Gérard robusto ed esuberante, ma non indenne da mende vocali. In T’odio casa adorata mostra una non pulita linea di canto, salendo in maniera incerta e con acuti schiacciati abbandonandosi spesso all’enfasi. Interpretazione un po’ troppo vilain, cantando costantemente sul mezzo forte e con accenti plateali ma risulta efficace, soprattutto là nei momenti di tensione e concitazione. In Lacrime e sangue è efficace tribuno e l’oratoria è sincera, ma la voce resta sempre vagamente opaca quando sale e gli acuti mai ben timbrati. Efficace negli accenti di Gerard è vile ma in Nemico della patria apre i suoni e la dizione non è certo nobile. Tagliente nei tesi passi di conversazione nel duetto con Maddalena, pur se conditi da una chiusa belluina. Vitale Bersi di Cristina Melis, dagli acuti facili e di bella presenza scenica. Mediocre La contessa di Coigny di Federica Giansanti voce piuttosto afona e senza corpo, esagitata nei momenti di concitazione. Molto buona Madelon di Manuela Custer efficace nel rendere lo strazio di una vecchia e vera cittadina. Il Roucher di Vittorio Vitelli ha buon timbro che tende troppo a immascherare e gli acuti sono schiacciati. Modesto Fouquier-Tinville di Nicolò Ceriani. Pietro Fléville è Stefano Marchisio, di buona voce pur ricalcante il lezioso stereotipo. Delirante e farneticante Mathieu di Alessio Verna dal pessimo canto, così come pesante e stentoreo Un Incredibile di Bruno Lazzaretti. Accettabili gli altri. Non esaltante il debutto lirico di Oksana Lyniv che pur al netto della semplicità dell’ordito orchestrale e del contesto armonico della partitura, la portano a essere in più momenti tumultuante che veramente drammatica, trova nei momenti lirici in cui può espandersi i momenti migliori, ma non riuscendo a mettere in giusto valore un melodramma a torto limitato dall’etichetta “verista”. Il Coro, pur valido, risentendo questa visione direttoriale, si fa troppo spesso vociferante e stentoreo. Nuovo l’Allestimento, firmato dal regista Pier Francesco Maestrini, scene curate da Nicolás Boni, i costumi da Stefania Scaraggi, le luci da Daniele Naldi e le coreografie da Silvia Giordano. Una messinscena tradizionale, inizialmente didascalica e stucchevole nei manierismi e nelle leziosaggini tardo settecento, popolata al boccascena di macerie che fan presagire la rovina di un mondo fintamente dorato ma già disgregato. Il tutto incorniciato da riquadro dorato e spezzato dove torreggianti parrucconi troneggiano e stucchevoli pastorellerie e smancerie a non finire in costumi sgargianti quanto brutti e fané. Il tutto condito da una coreografia sciapa. Dalla fine del I quadro, quando tra le proiettate fiamme tutto passa in dissoluzione e la cornice s’inclina, acquista maggior dignità di affresco storico, con la messa in sbalzo di plastici tableaux vivants. Calorosissima accoglienza finale, con vere e proprie ovazioni per i tre interpreti principali.

gF. Previtali Rosti

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