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Affreschi strappati / Silloge poetica di Giuseppe Settanni

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Un avvocato con la passione per i versi, con la forma più alta e nobile della sensibilità umana, ossia la poesia che, con la sua forza dirompente, ingentilisce gli animi più ribelli, che sa giocare con le parole libere che non seguono una versificazione metrica, quella aulica e pedissequa dei poeti della classicità e della grande letteratura italiana ed europea.

Mi piace definire così la nuova fatica letteraria di Giuseppe Settanni, originario di San Severo, ma residente a Fano (nelle Marche), giurista e docente universitario che ha pubblicato la raccolta di poesie “Affreschi strappati” (Roma, Edizioni Ensemble, 2022), con la postfazione di Ilaria Triggiani. Nel 2019 il giovane Giuseppe Settanni aveva già pubblicato con la stessa casa editrice romana la sua prima silloge poetica, “Blu”, che è risultata vincitrice del Premio Anselmo Filippo Pecci. Le poesie di Settanni, oltre ad essere state premiate in diverse competizioni letterarie di carattere nazionale, compaiono su diversi blog e siti di poesia e letteratura.

Quella di Giuseppe Settanni è una poesia fresca, briosa, allegra; i suoi versi sembrano delle pennellate artistiche fatte non con i colori, ma con le parole, quelle parole che devono colpire, cioè creare nel lettore quel “colpo d’occhio”, capace di creare stupore, meraviglia, disincanto. Settanni scrive i suoi versi in maniera libera, senza seguire schemi e preconcetti tipici della poesia tradizionale, in cui si devono seguire le regole della versificazione, ma utilizza le espressioni poetiche alla maniera dei poeti ermetici che volevano rompere definitivamente con la tradizione della poesia romantica.

La silloge di Settanni richiama continuamente i poeti ermetici e post-ermetici: infatti i suoi versi sono liberi, mancano di lettere maiuscole, di punteggiature, di schema metrico. Si assapora nella poesia di Settanni un’aria fresca, nuova, capace di creare quel “quid” che, forse, la vita quotidiana ci ha in qualche modo sottratto: la bellezza delle parole in tutte le sue forme ed accezioni. Negli “Affreschi strappati”, il giovane poeta sanseverese ci invita ad assaporare la poesia come una sorta di evasione, di un’anima che si libera dal gravame della quotidianità e spicca il volo con le parole. Il titolo della silloge ci fa intendere a chiare lettere (come afferma Ilaria Triggiani nella sua post-fazione) un senso di rottura, di stasi improvvisa, «di un piccolo momento di ribellione, un’inquietudine non ancora risolta, ma finalmente svelata».

Al termine della lettura di questa raccolta poetica il lettore deve porsi delle domande, in quanto tutta la storia dell’esistenza umana è un continuo “chiedersi”, e la domanda che viene spontanea è “che cos’è la poesia?”. La risposta ci viene data da un grande poeta come Eugenio Montale, il quale affermava che la poesia è nello stesso tempo un “atto umano e divino” perché nei versi sono impressi la mano dell’uomo e del suo Creatore.

Una caratteristica della poesia di Giuseppe Settanni che affiora in maniera evidente in tutti i suoi componimenti è la leggerezza, la levità e la curiosità di una scoperta sempre nuova e avvincente. E questa stessa “leggerezza” si esprime nel linguaggio che il poeta adopera: non parole ricercate, auliche, ampollose, ma un linguaggio semplice, schietto, sincero, tagliente e legato alla quotidianità. Settanni, in altre parole, si avvicina molto al linguaggio delle giovani generazioni con parole semplici ma dirette, ma anche capaci di lasciare il segno. E il nostro poeta vuole ancora lasciare il “segno” in una società avara di sentimenti perché la poesia si “fa col sentimento” perché proviene direttamente dall’anima e dal cuore, i veri motori dell’amore espresso in tutte le sue forme.

Gli “Affreschi strappati” mettono in evidenza il coraggio dell’autore di squarciare il velo classico della perfezione e gridare istanze nuove e potenti. La lirica di Settanni, dunque, oscilla tra il sacro e il profano, ma il poeta è abile nel non far pendere l’ago della bilancia da una parte e dall’altra: preferisce stare nel mezzo. La cosa più vera di questa raccolta di versi che è una continua ricerca di se stesso, della propria identità e del proprio mondo, è quella di creare nel contempo due momenti, direi quasi ossimorici: stupore e disturbo, ossia affascinare il lettore – in cui rientra l’accezione dello stupore – e scuoterlo dalle coscienze intorpidite – e qui rientra il concetto di disturbo.

Mi piace chiudere quest’analisi con la poesia che è riportata sulla copertina della silloge che istintivamente ha colpito la mia attenzione, quel “colpo d’occhio” che l’Autore si è prefissato come obiettivo di questa sua nuova fatica letteraria: “come giustificare la nostra / disarticolazione? / ci profondiamo in formalismi /ci soppesiamo / possibile che non ci scuota / il desiderio di rapina? / è matematica distante, il nostro amore / staticità / potrebbe durare secoli / e non aprirsi mai”.

Mario Bocola

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