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Borgognone a 360 gradi

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Intervista a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo

La vita è strana, in Italia vi sono due cugini artisti che sono omonimi, hanno lo stesso nome e cognome ed in comune hanno il giornalismo, l’amore per la scrittura e l’arte. Oggi ho il piacere di interagire con il Paolo Borgognone critico musicale, artista lirico, Maestro di canto e non solo.

Sei scrittore, critico musicale, giornalista. Cosa è cambiato nel tuo lavoro dall’inizio della tua carriera fino ad ora?

Direi che è cambiato tutto. All’inizio scrivevo i miei articoli con una Olivetti Lettera 22, li portavo al caporedattore per l’approvazione e lui li inoltrava al proto per la stampa. Come ben sai, adesso scriviamo direttamente in pagina, facciamo il titolo, l’occhiello e il sommario, mettiamo le foto. A parte questo aspetto tecnologico, è cambiata proprio la concezione della professione. Allora esistevano solo la carta stampata e la Rai, il pubblico non aveva altre fonti d’informazione. Poi sono arrivate radio e televisioni private, che hanno garantito un pluralismo, secondo me, molto positivo. Ed ora il giornalismo on line apre nuove frontiere, che ancora devono essere esplorate del tutto. Sono curioso di vedere come si evolverà il nostro lavoro nei prossimi anni.

Cosa pensi del panorama musicale italiano attuale?

Per quanto riguarda la musica leggera, non vorrei apparire troppo severo, perché la mia filosofia è sempre stata quella di incoraggiare i giovani. Ma devo dire la verità: a parte alcune lodevoli eccezioni, come Maneskin, Emma, Ultimo e pochi altri, trovo che ci siano molte idee, ma poca personalità. Un tempo se ascoltavo la radio e non sapevo nulla della canzone che trasmetteva, riconoscevo subito il cantante. Adesso si assomigliano quasi tutti: pur essendo originali nei testi e nella musica, non sanno creare un proprio stile interpretativo – come fecero i bravissimi Giuliano Sangiorgi e Kekko, ad esempio – e questo è un grosso limite. Nel mio campo specifico, che è quello della musica classica e lirica, continuiamo a sfornare talenti straordinari, che si affermano in tutto il mondo, e ne sono felice.

Cosa bisogna fare per diffondere maggiormente la cultura della musica originale in Italia?

Mi riallaccio a quel che dicevo prima: invece di affidarsi ai talent show, che regalano successi effimeri, bisognerebbe coltivare i giovani cantautori prima di mandarli a Sanremo a rischio di bruciarsi. Il talento è naturale, ma la professionalità per gestirlo davanti al grande pubblico deve essere costruita giorno per giorno con lo studio e un po’ di sana “gavetta”, come si faceva una volta. Solo così si riesce ad acquisire quella personalità che rende una voce inconfondibile, e nello stesso tempo si spinge il pubblico a privilegiare la musica italiana originale.

Quali sono i pro e i contro del web e i social nell’attività di un artista?

Non dico niente di nuovo se ricordo che il web è un’arma a doppio taglio. È certamente positivo il fatto di poter pubblicizzare la propria attività artistica senza spendere nulla, grazie ai social. Lo faccio anch’io per i miei concerti e quelli dei miei allievi. Ma i social sono un calderone dove si trova di tutto e di conseguenza il rischio è quello che un evento di notevole livello artistico venga penalizzato, solo perché riceve meno like di un altro assai meno importante.

Cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro della musica?

Da un lato sono ottimista, perché comunque vedo che fioriscono sempre nuovi cantanti, nuovi autori, nuovi arrangiatori e questo mi conferma che la musica non morirà mai e avrà sempre il suo spazio nella vita di tutti noi. Dall’altro però sono un po’ triste per la progressiva scomparsa del cd fisico, che il revival collezionistico del vinile non riesce a compensare. Non nego che sia molto comodo portare con sé la propria musica preferita nel telefono. Ma il cd e il vinile avevano una propria vita, erano una presenza rassicurante. Dopo 12 ore di lavoro al giornale, pensavo: “Adesso torno a casa e metto su un disco rilassante”. Ed era un piccolo, piacevole rituale che ormai facciamo in pochi. I ragazzi preferiscono girare con la cuffia nelle orecchie, e credo che sia soprattutto musica di consumo.

Pensi ci siano abbastanza opportunità per gli artisti che propongono canzoni d’autore oggi? Quali canali consigli a giovani artisti che vogliono farsi conoscere?

Se le opportunità si limitano ai talent show, la vedo dura per le canzoni d’autore. Non è quello il palcoscenico più adatto per chi vuole lanciarsi nel mondo della musica dicendo cose nuove nei testi e nella musica. È difficile individuare un canale efficace, anche per il motivo che ho accennato prima: il mercato discografico è quasi scomparso, quindi le etichette spendono meno tempo e meno denaro per cercare nuovi cantautori. L’unica cosa che potrei suggerire è di tornare all’antico: registrare un audio con alcune delle proprie canzoni e mandarlo via mail alle case discografiche, ai manager più importanti, ai direttori artistici. Molti file finiranno nel cestino, ma qualcuno sarà ascoltato. In questo modo sono nate grandi carriere, perché non dovrebbe funzionare ancora?

Ci sono ancora molti artisti che fanno cover e si concentrano un po’ meno sulla creazione delle loro canzoni. Cosa bisogna fare per diffondere una cultura della ”musica originale”?

È vero, le cover stanno diventando frequenti e mi ricordano un altro fenomeno di questi tempi: il cinema sforna sempre più remake, prequel e sequel e meno film originali. Credo che la causa sia la stessa: si incidono cover e si girano remake quando non ci sono abbastanza buone idee per scrivere canzoni nuove e girare pellicole inedite. I grandi cantautori non cantano cover, o lo fanno quando sono all’apice della carriera, come omaggio a un collega. I giovani, se davvero vogliono scrivere e cantare le loro canzoni, devono credere di più in loro stessi e presentarsi solo con il repertorio che hanno creato, senza cercare scorciatoie cantando altro.

Se tu potessi fare un regalo all’umanità per cosa opteresti?

In questo momento storico è fin troppo facile rispondere: la pace. Ma oltre a quello della guerra, che è un problema internazionale, c’è una cosa che riguarda ognuno di noi e che secondo me sta mancando molto: la serenità. Vivere serenamente permette di sfruttare i momenti belli e di affrontare più lucidamente i problemi. Sì, regalerei al mondo la serenità.

Un tuo sogno nel cassetto è… ?

Devo dire che professionalmente ho realizzato tutti i miei sogni: ho intervistato personaggi straordinari in tutti i campi dell’arte e della cultura, ho recensito spettacoli indimenticabili alla Scala, all’Arena di Verona e in quasi tutti i teatri italiani. Come artista lirico, invece, ho un ultimo sogno che vorrei realizzare davvero: chiudere la mia carriera con un grande concerto finale, affiancato dai miei amici di sempre e dai cantanti e musicisti che stimo di più.

 

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