Prendete un amore platonico, la Versilia, le feste, i balli, la musica; ora aggiungete le amicizie tossiche, i cattivi esempi in tv, l’indifferenza degli altri; mescolate bene il tutto et voilà: ecco pronto il micidiale cocktail che può spingere una ragazzina di 17 anni sull’orlo del baratro.
Questi ingredienti stanno alla base della ricetta che la scrittrice viareggina Giulia Ponsi, 42 anni, ha messo insieme per ricostruire la sua catartica estate del 1997. “La ragazza che aveva sete” (Porto Seguro editore, 2022) è il titolo del suo libro: un racconto denso, autobiografico, lucido nell’analisi critica dei propri ricordi. Uno spaccato adolescenziale ricco di interessanti spunti e riflessioni, ma anche di moniti ed insegnamenti: si parla – senza peli sulla lingua – degli effetti devastanti dell’alcol sulla mente e sul corpo soprattutto dei più giovani.
“Il mio scopo nel raccontare questa storia dall’inizio – spiega l’autrice – è di mostrare come può ridurti l’alcol; voglio che si sappia cosa ti porta a fare questo veleno, quanto sia pericoloso svenire per strada alle tre del mattino da sola e risvegliarsi dopo ore in un parcheggio abbandonato della Darsena, in una pozza di vomito; esigo che si sappia cosa significhi vomitare a getto i succhi gastrici due volte a sera sul marciapiede e, dopo averlo fatto, ricominciare a bere”.
La storia parte da un ‘cigno nero’: il fatale incontro con un ragazzo, Luca, che presto si tramuterà in una vera e propria ossessione dando origine ad una condizione patologica nell’autrice. L’amore non corrisposto tra i due, spingerà Giulia a trovare rifugio nell’alcol – palliativo alla tristezza -, circondata da amicizie sbagliate e, come lei, vittime di questa droga liquida e legalizzata.
Sullo sfondo del racconto, ci sono gli anni ’90: il gap normativo in tema di sicurezza, la scarsa sensibilizzazione in materia di acolici e la debole prevenzione del divertimento sfrenato tra i giovani. Il ritratto di una movida senza controllo che ha catturato nel vortice molte vite e lasciato segni indelebili nei sopravvissuti.