Al Teatro romano di Verona, recita del 12 settembre 2023
Nella magica atmosfera del Teatro romano Medea di Euripide chiude la 75a edizione dell’Estate Teatrale Veronese. Manifestazione creata nel 1948 dal Comune di Verona in omaggio a William Shakespeare che ambienta nella città scaligera ben tre lavori: Romeo e Giulietta, La Bisbetica domata e I due gentiluomini di Verona. L’eroina di Euripide arriva per la prima volta al Teatro Romano in una produzione della Fondazione INDA – Teatro Greco di Siracusa, con la regia di Federico Tiezzi, nella traduzione di Massimo Fusillo. Spettacolo che nei mesi scorsi ha registrato un record di pubblico. Il regista, lavorando su un testo che per la prima volta nel teatro greco mette al centro la travolgente passione di una donna, imposta la tragedia come lo scontro tra due civiltà, due differenti modi di concepire la forza. Assistiamo così alla messa a confronto tra “valori” tramandati da una società arcaica che vengono a cozzare con quelli di un’altra, cosiddetta più evoluta: inevitabile l’esplosione della violenza. Un testo che mina concetti assoluti, ponendo l’accento sulla caducità degli stessi dei e, facendo assumere a una donna (per quanto esempio estremo) il ruolo principale, suscita il germe di una consapevolezza femminile. Ora sai cos’è la Giustizia, sibila il misconoscente Giasone a Medea, a conferma della conquistata “civiltà” non solo di pensiero, impostata sull’ordine e non più gestita da forze primigenie. Il regista si diverte a far indossare copricapi animaleschi di uccelli e coccodrilli, con un risultato di vacua sovrapposizione d’identificazione. Affolla l’elegante impianto fisso con gran tavolo e busti su piedistalli ideato da Marco Rossi, il Coro delle Corifee in laceranti canti e lamentazioni. Debora Zuin, Nutrice dalla recitazione di vago sapore straniero, dai sapori di Colchide, pur canta con voce intonata e acuta. Riccardo Livermore è un pedagogo giovanile di fresca e genuina partecipazione. Roberto Latini Creonte, sempre in scena con copricapo a testa di coccodrillo, non si segnala per spiccata regalità, impiegando un tono imperativo drastico e di una durezza di maniera, a fronte di una Medea palpitante che implora commossa, intensamente persuasiva; capace di raggiungere toni supplichevoli tanto credibili quanto celanti – in determinata lucidità- la progettata vendetta e tanto audacemente spietata nella deliberata scelta del modo in cui sarà eseguita. Medea è Laura Marinoni che impregna il personaggio di un’umanità che non vien meno neppur nei momenti più violenti; anzi rende credibile ogni più velata perorazione nei “duetti” con Creonte e Giasone, irretendoli facilmente nelle sue spire di maga della parola, ancor prima che di sortilegi. La Marinoni, nel gran vestito piumato a strascico, entra con prepotente fiammeggiar di toni della donna tradita e abbandonata e non conosce altre ragioni, immersa nella disperazione che non trova pace. Gli accenti commossi e commoventi, di voce vibrante di dolore a esplicitare e ribadire, a se stessa e al mondo circostante, la condizione femminile e tragica di donna straniera, ormai sola. Profondi i tratti e vibrante psicologismo nel drammatico e teso fraseggio. Torna poi, fasciata da un avvolgente tunica blu cobalto, mascherando la sete di vendetta con una recitazione condita da mielose parole ma palpitanti, di cercata credibilità, mentre Giasone risponde privo di logica e sagacia, incapace di intuire e parare i subdoli piani. L’attrice milanese si dibatte, in una recitazione mai enfatica, nel tormento palpabile di madre all’uccisione dei figli, ma subito si mostra travolta dal ripensamento della donna offesa; la disperazione dell’efferato gesto si alterna a tenerezza: in tremante e passionale decisionalità si avvia sulla strada dell’azione più atroce. Lo struggente sentimento di madre è sopraffatto dall’onore e dalla sventura: la passione la vince sulla ragione. In scena, ponendosi nella luce di un riflettore, la Marinoni si fa icona, in un’espressione trasumanata, rassegnata a una vita di dolore dopo l’uccisione dei figli, di cui trova giustificazione. Strage segue a strage. Alessandro Averone è un Giasone che, grazie anche al physique du role, centra inizialmente il personaggio nella spietata determinazione e cinica giustificazione ai suoi progetti. Conscio del ruolo tiene validamene testa nel primo “duetto-scontro” con Medea alla furente dialettica della maga; mostrando insostenibili giustificazioni e altrettanta forza verbale, rasenta una spudorata impudenza in argomentazioni nel vanto di fittizi meriti. E’ credibile attore nel delineare il calcolatore e abile oratore che maschera l’opportunista. Non è però convincente nel tragico finale: in faccia alla morte dei figli è solo istupidito dal dolore, piagnucolante, mal tenendo testa al travolgente scontro che separa, anche fisicamente, i due protagonisti. Luigi Tabita Egeo dalla presenza quasi surreale, dalla fascinante straniata recitazione. Sandra Toffolatti Il Nunzio, partecipe e intensa pur nei toni spesso urlati, è generosamente premiata da un applauso a scena aperta. Francesca Ciocchetti (prima corifea) funzionale senza essere coinvolgente, assurge a toni d’intenso e straniato patetismo all’annuncio finale di morte. Efficace il Coro guidato da Simonetta Cartia, prima coreuta e direttrice del coro. E infine appare Medea, distaccata ormai dalla terra e da Giasone, in un abito che sa di oro e sole, dominante dall’alto. Gli stracci delle corifee si sono fatti ora rossi, a marcare pareti e pavimenti di una scena ormai completamente smobilitata. Costumi di Giovanna Buzzi, disegno luci di Gianni Pollini, sapienti le musiche originali del coro e del prologo, composte da Silvia Colasanti. Profluvio d’applausi per tutti, con ovazioni per la Marinoni, da parte di un pubblico che gremiva la cavea, fascinato dal testo e dal luogo e dimentico (una tantum) della quotidianità della vita.
gF. Previtali Rosti