Vita privata di attori in crisi e press agent in C’è un cadavere in giardino

Data:

5 OTTOBRE 2023 – 22 OTTOBRE 2023, Teatro Manzoni di Roma

Da qualche tempo a questa parte in codesta prima parte della stagione teatrale ci capita di assistere a commedie sentimentali di matrice franco – canadese che hanno, generalmente , una conclusione positiva dopo accese discussioni per esplorare per quali ragioni il “menage” sembri sul punto di naufragare e di chi sia la colpa. Questa considerazione s’adatta perfettamente pure al copione di Norm Foster che in “C’è un cadavere in giardino” esamina nei minimi dettagli la relazione di coppia tra Cinzia ed Aldo Selvaggi, nomi che l’acuto e perspicace regista Silvio Giordani, ha traslato in italiano per rendere la storia più credibile nel nostro contesto sociale in cui sovente due protagonisti della scena sono anche compagni legalmente regolarizzati o meno nella loro dimensione privata, per non dire dei cantanti quali Paola Turci e Francesca Pascale o Tiziano Ferro ed il suo partner americano da cui s’è ultimamente separato per l’interesse primario dei figli, come da lui sostenuto.  Più spigliata, vivace e salace lei che è il motivo scatenante del lavoro eccellentemente interpretata da Miriam Mesturino,  più imbarazzato indeciso e sorpreso dagli eventi avvenuti nel suo studio è il marito, che Sergio Muniz incarna in modo maggiormente impettito e classicamente stilizzato nella postura senza un minimo guizzo e lampo di genio che elettrizzi il testo, ma nondimeno piuttosto esitante nel cedere ai desideri d’un a consorte che possiede tutto per stimolare i maschi. Qui sta la causa del fatto che la moglie si sia lasciata circuire dal giardiniere Andrea che cura i villini della zona residenziale, per cui avrebbe recuperato il brivido del piacere che il legittimo marito le fa mancare se questi arrivato improvvisamente in casa e, aperta la porta del suo ufficio, non l’avesse scoperti in flagrante  procinto di consumare il tradimento e la voglia di sperimentare il piacere con un altro amante attratto dal fascino di Cinzia. Andrea, colto sul più bello, mentre già pregustava l’amplesso galeotto come Gianciotto e Francesca nel V Canto dell’Inferno, è scosso fortemente dall’emozione imprevista per cui la sovraeccitazione gli provoca un brusco infarto cardiaco che non lo risparmia e per il contraccolpo patito resta con il “pennone” alzato, similmente a Dallas che, moglie d’un aristocratico di quelli che festeggiano il capodanno nel passaggio del millennio tra il XX e XXI secolo in un castello elvetico tra la neve, resta incastrata sull’organo del più anziano marito che muore godendo nel satirico e sferzante film mondano di Roman Polanski “The Palace”. Che fare e come sbarazzarsi di quell’incomodo tritagonista di cui la comunità non ha più notizia? I due attori, che non hanno buone critiche e sono mediocri e grigi componenti del parco della recitazione nostrana come tanti con approssimativa notorietà, studiano la situazione in modo reiterato nel primo tempo, dando ordine all’ignorante, ingenua ed allampanata cameriera Berenice, delineata con scanzonata spigliatezza dall’attrice Maria Cristina Gionta che, allorché non è direttamente lei la regista, non manca quasi mai in quelli dell’inventivo ed esperto Giordani, pur se qui le azioni tendono ad accavallarsi ripetutamente con uno svolgimento abbastanza prevedibile. A Berenice, che non sa riconoscere la differenza tra i suoni degli apparecchi elettronici ed il citofono, viene ordinato di non spalancare quella porta, di mandare via coloro che suonano all’appartamento, non sapendo fare altro che preparare la cena ed obbedire ai comandi ricevuti, dimostrando un’impreparazione di base grossolana e volgare non più concepibile. Non sa bloccare nessuno sull’uscio durante i tentativi di Cinzia di convincere il marito a fare l’amore sul biliardo del salone o sul divano, essendole rimasta la carica sessuale non appagata con Andrea e pensando intanto come nascondere il trapassato. Ad offrire la giusta ispirazione sarà il loro ufficio stampa Del Vecchio che è assillata dal guadagnare di più per promuovere la loro pubblicità sui “media” e quotidiani, non bastandole il il 10% e volendo il 15 dei loro incassi, tuttavia sollecitata altresì dagli appetiti carnali e dalla sensualità, quasi si trattasse di una ninfomane, per cui si lascia conquistare e vincere sentimentalmente da ogni soggetto che incontra sulla sua strada : prima l’intrigante critico teatrale Geremia Castelli sospettoso e curioso per cui ispeziona tutta la magione e poi dal leggero e sventato, superficiale e dimentico , ispettore di polizia che non è certo Sherlock Holmes, con l’icastico e sarcastico nome di Ermenegildo Piccione avvicinato per analogia di lemma ornitologico al tenente Colombo che ha una diversa meritata fama. Egli non s’accorge che, mentre fa il galante e cicisbeo seduttore con Ruby, Cinzia ed Aldo con la pala ed il corpo esanime di Andrea, avvolto in un tappeto come una mummia egizia, provvedono a creare una fossa in giardino e buttarcelo dentro.  A siffatto proposito si deve rimarcare che il verde della residenza è marginale e pressoché del tutto invisibile nella scena fissa di Mario Amodio su cu le luci si limitano ad accendersi e spegnersi senza giungere ad accentuazioni luminose nei passi chiave o dar minore intensità con rarefazioni e sfumature in penombra nei momenti d’incertezza dei  personaggi nel prendere le decisioni necessarie per non essere beccati nella macabra messinscena in privato ed essere travolti dallo scandalo, nel contempo che un loro spettacolo viene recensito positivamente da Castelli per la mediazione, remunerata con il ricercato aumento, della Ruby intenzionata a sposare lo sbeffeggiato ed ingannato gendarme, che non assicura la tutela della giustizia come nel caso della piccola peruviana Kata di cui non si sa ancora nulla di sicuro nel caso del riciclato albergo “Ariston” di Firenze. Sarà trovata la verità, il cadavere avrà la sua degna sepoltura e chi la fiuterà, alla guisa di ardue e sofisticate indagini? Il livello borghese  della classe sociale denunciata dal linguaggio caustico ed incisivo, tagliente e graffiante, relativamente ai singoli protagonisti  è espresso efficacemente dai costumi  di Lucia Mariani. Lo spettacolo sarà replicato fino al 22 ottobre al teatro  Manzoni di via Montezebio  vicino al cavallo della RAI e rappresenta uno spaccato di vita reale che vale la pena osservare, per poter eventualmente riconoscervi degli aspetti coinvolgenti nei suoi molteplici risvolti.

Giancarlo Lungarini

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