Notice: A non well formed numeric value encountered in /web/htdocs/www.corrieredellospettacolo.net/home/wp-content/plugins/td-social-counter/shortcode/td_block_social_counter.php on line 1176

Peter Grimes, tragedia di un uomo “difficile”

Data:

Al Teatro alla Scala fino al 2 novembre 2023

La stagione autunnale del Teatro alla Scala sta per concludersi e lo fa con un capolavoro del novecento musicale, Peter Grimes, opera in un prologo e tre atti di Benjamin Britten su libretto di Montagu Slater. Può sembrare curioso, che un’opera così profondamente inglese, sia stata concepita da Britten vicino San Diego, quando il musicista e Peter Pears, compagno inseparabile e celebre interprete di molti suoi personaggi teatrali, seguivano la vita “bohème” dei loro amici W.H.Auden (che all’epoca aveva un forte ascendente su Britten) e Christopher Isherwood cui il musicista si era rivolto inizialmente per il libretto della sua nuova opera. Peter Grimes, scritta tra il 1944 e il 1945, grazie ad una borsa di studio accordata al compositore dalla Fondazione musicale Koussevitzkij, ebbe l’onore di riaprire il 7 giugno del 1945 la storica sala londinese del Sadler’s Wells Theatre, rimasta chiusa per tutta la durata della seconda guerra mondiale. L’esito della serata fu molto caloroso, e l’accoglienza a dir poco entusiastica. La lettura di The Borough, (Il borgo) del reverendo George Crabbe, un poeta del Suffolk del XVIII secolo, risveglia nel compositore il profondo attaccamento per la sua regione natale e l’ispirazione e la materia del Peter Grimes, ambientato in un piccolo villaggio di pescatori dell’East Cost, dietro cui si individuano facilmente i luoghi natali dello scrittore e del musicista. La storia è quella di Peter Grimes, pescatore dal carattere schivo e ombroso, messo al bando dalla comunità del borgo perché sospettato di maltrattamenti verso i giovani ragazzi messi ad apprendere il mestiere. Peter Grimes è il lucido ritratto della società spietata che forma uno degli anonimi borghi di pescatori della costa orientale dell’Inghilterra, la meno ospitale. E’ il dramma di una solitudine, di un’incomprensione (e di una diversità) del singolo che la massa non vuole capire e che di conseguenza ributta ai margini, causandone la morte. Un delicato racconto che diventa archetipo esistenziale, riassumendo nel personaggio di Peter Grimes la “pressione sociale” condizionante, fatto diventare un capro espiatorio: eliminato perché lo si ritiene capace di minare la stabilità del vivere comune. Il reverendo Crabbe, fa di Peter Grimes un personaggio negativo, un vero scellerato, mentre il librettista Slater, condividendo e sposando le intenzioni di Britten, punta a farne un disadattato, il cui comportamento è scusabile e anche comprensibile, tenendo conto di un’attitudine meno rigorosa venutasi a creare nel passare degli anni, quando si tratta di formulare un giudizio sulla natura umana. Presentata la prima volta a Milano nel 1947, in un’edizione italiana che vedeva protagonista Giacinto Prandelli e direttore Tullio Serafin, fu ripresentata solo trent’anni dopo, nel 1976, con la messinscena curata dal Royal Opera House Covent Garden di Londra, per poi tornare nel 2000 e 2012. Per questa edizione il Teatro alla Scala si avvale dell’esperienza del canadese Robert Carsen. Brandon Jovanovich è Peter Grimes di voce grezza, spesso spinta e urlata che si sbianca nelle mezze voci, non riuscendo nel compito di suscitare un’empatia nello spettatore nei riguardi di questa figura. Delinea un personaggio monolitico, di cui sbalza soprattutto la dura determinazione a raggiungere l’utopico scopo; febbrilmente pervaso da un’agitazione che è però tutta superficiale, manca in quei momenti in cui Grimes si abbandona a dolorosa introspezione, a quei nostalgici momenti di struggenza onirica. Poco si percepisce del suo animo, violentemente turbato da tempeste emotive e lacerato nel profondo che, pur nelle asperità del carattere, lo spingono ad alte mete. Nicole Car, la migliore del cast, è Ellen Orford dal timbro lirico ma dai vibranti e drammatici fraseggi che alterna a quelli altruistici e appassionati.  Squilla la voce in alto, così da essere fremente interprete nella prima “tirata” anti moralista; tenera nel monologo al nuovo boy con accenti dolci e materni, come intensa e con tinte dolenti nell’oasi lirica del quartetto con le altre donne: lucido e malinconico canto sulla condizione delle madri e delle spose. Ólafur Sigurdarson è ben compreso nella parte del Captain Balstrode, distaccato e generoso di saggia moralità e tolleranza del vivere, anche se vocalmente non  tutto non è ben risolto, pur con fraseggio sempre vivido. Margaret Plummer è una gustosa Auntie, leggera ma dal timbro piacevole e sicura e decisa interprete; Katrina Galka e Tineke Van Ingelgem le due petulanti nieces. Natascha Petrinsky è una Mrs. Sedley di precaria organizzazione vocale, inizialmente quasi afona, e con imbarazzanti problemi d’intonazione e linearità vocale. Michael Colvin è il metodista Bob Boles, un po’ stereotipato, mentre Peter Rose presta efficace e robusta voce a Swallow. Leigh Melrose, caratterista pregnante, disegna un cinico e disincantato Ned Keene; William Thomas è Hobson, vetturale dall’intenso timbro. Corretti gli altri con Tommaso Axel Versari che fa del suo meglio in scena quale secondo Boy. La Direttrice Simone Young sprigiona dalla partitura un magma sonoro, spesso esagitato e drammaticamente enfatico, ma avara nell’evocare le sottili nuances dell’animo umano, indulgendo in clangori esasperati che portano anche il coro a essere vociferante. Una direzione tutta muscolare, senza grandi sottigliezze o introspezioni, e neppure abbandoni, nei coinvolgenti interludi, impossibili da assaporare per l’horror vacui del regista e dei movimenti in scena. Il regista Robert Carsen ingabbia la coscienza dei personaggi in un contenitore claustrofobico quasi ermetico, e muove il coro affastellandolo come onde e cavalloni marini, mentre isola spesso il protagonista, relegandolo in una tangibile solitudo. Scene di Gideon Davey che valorizza inizialmente il coro, in sospesa disposizione a mezz’aria, quasi tribunale eterno della coscienza, ma risolve con banale incongruenza di botola & scala, quella porta di ben più immaginifica ripidità a scoscesa e pericolosa via alla scogliera. Per tacer di quel “tenuto decentemente” della casa di Grimes, quando tutto appare gambe all’aria. Modesti i costumi. Luci taglienti e video di Will Duke, scontati e martellanti incubi d’evocazioni di morte, e nuove proiezioni che non bastano a far percepire il tormento interiore, restando solo violenza e durezza. Coreografie di Rebecca Howell, prevedibili, che vanno vanamente a sovrapporsi, con mimi neri come una marea di negativi pensieri, agli splendidi interludi, evocativi d’atmosfere e orizzonti marini, burrasche e maree, capaci di ricreare sotto i nostri occhi, meglio e più precisamente di quanto vedevamo sulla scena, quell’ambiente grigiastro della costa inglese. Accoglienza cordiale, con più partecipazione per la direttrice Young.

gF. Previtali Rosti

 

Seguici

11,409FansMi Piace

Condividi post:

spot_imgspot_img

I più letti

Potrebbero piacerti
Correlati

Tutti gli artisti di In Memory of Ferruccio Lamborghini

Debora Cattoni ci tiene a ringraziare tutti gli artisti...

FRANGIVENTO… DIECIDIECI

FV Frangivento, un marchio automobilistico tutto italiano creato nel...

Veronica Rossi. La fotografia è un traguardo…

Questa è una storia vera. Cruda. Senza mezze misure....