“Anatomia di una caduta”, il film vincitore del Festival di Cannes 2023 sospeso tra realtà e finzione

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C’è Hitchcock nello sviluppo giallo del racconto e nell’eleganza formale; c’è Kurosawa nel modello e nel senso narrativi. Anatomia di una caduta è per forza di cose un film sorprendente. Vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, il film di Justine Triet è quasi un film da camera, perché si muove in poche location e mette in scena pochi personaggi, ma nasconde la forza straordinaria del miglior film giallo e processuale.

Una pallina cade dalle scale di uno chalet di montagna. È la prima scena del film ad annunciare la sua trattazione: cadute fisiche e cadute psicologiche, umane. Sandra, Samuel e Daniel, marito e moglie e figlio cieco a causa di un incidente occorso anni prima, vivono in questo posto separato dal resto del mondo. Una mattina, mentre una musica incessante e ad alto volume fa da sottofondo, l’uomo precipita dall’alto, cade a terra e muore. La donna è scossa dal dolore, il bambino ne è devastato. Un incidente? Un suicidio? O un omicidio commesso dalla donna? Non c’è spazio ad altre possibili ipotesi, lo sanno i personaggi coinvolti, lo comprende e lo sa fin da subito lo spettatore che si trova immerso in questo dramma familiare e nell’intrigo del caso per far venire a galla la verità.

La verità serpeggia sottotraccia tra le tante parole del film inserite in dialoghi lunghi, in confronti accesi; tra i tanti dettagli e sottigliezze; ma anche nei volti della donna, del bambino, e in quelli del padre Samuel in alcuni flashback; si districa, la verità, anche tra i non detti, i silenzi, le attese. E allora, come in un giallo calibrato perfettamente, quando il film sembra darti una soluzione, nella scena dopo te la smonta per farti credere altro; se pensi di percorrere la pista giusta, uno stacco di montaggio ti trasporta subito su un altro percorso senza sapere come ci sei arrivato. È una sceneggiatura stratificata quella di Anatomia di una caduta, proprio perché muove lo spettatore su più piani, perso in una realtà sfuggente (come nella vita); un film del reale quindi, narrato con la misura e il passo discreto del cinema verità, ma nel quale la realtà è messa così in crisi (perché si affida alla sola parola e a volte viene mostrata attraverso le immagini/proiezioni mentali del bambino) da diventare finzione e la finzione (il ricordo, o un punto di vista, o un’opinione) è raccontata così bene che viene assunta come realtà. I due coniugi d’altronde sono scrittori, la figura professionale e artistica che fa della parola scritta strumento privilegiato capace di muoversi liberamente tra invenzione creativa, documentazione, attinenza alla realtà, manipolazione, astrazione.

Come in alcuni capolavori di Akira Kurosawa dove il fatto centrale di un racconto viene sottoposto a più interpretazioni, anche qui punti di vista molteplici, osservazioni oblique, sarcasmo e relativismo si dipanano in tutta la lunghezza del film, che diventa sfibrante nella sua ricerca tanto per i protagonisti, che vorrebbero mettersi alle spalle tutto il dolore e la tensione, quanto per lo spettatore che sente i medesimi stati d’animo e vive quelle precise emozioni. È inevitabile ad un certo punto comprendere come Anatomia di una caduta non sia solo il racconto giallo di un fatto di cronaca, un thriller processuale ben orchestrato, ma che dietro queste pure dinamiche di genere che rendono sicuramente l’opera coinvolgente e appassionante, si nasconda invece un film intimista e psicologico: la caduta da anatomizzare è quella dell’essere umano nel baratro della sua solitudine, incompletezza, incongruenza e inadeguatezza; la scena del litigio tra marito e moglie è scritta con penna abile e affilata in un crescendo emotivo incalzante, esalta due interpretazioni magistrali, e mostra un uomo dagli occhi lucidi e perso, irrequieto e già “spezzato” prima ancora di cadere fisicamente.

È questa caduta che interessa alla Triet; è il modo in cui guardiamo innanzitutto a noi stessi e a ciò che siamo o che vorremmo essere, e poi il modo in cui gli altri ci guardano – con gelosia o stima, con amore vero o condizionato; sono quelle maschere che indossiamo e che vorremmo togliere o tenere per comodità; è la facilità di giudizio (così attuale) rispetto alla disponibilità alla comprensione, sono i temi veri e centrali su cui il film riflette e pone riflessioni importanti. Anatomia di una caduta è “Uno, nessuno e centomila” raccontato con l’inattendibilità del narratore/personaggio Zeno Cosini.

Simone Santi Amantini

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