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Aurora (Sunrise – A song of two humans)

Data:

USA 1927 91’ B/N
REGIA: FRIEDRICH WILHELM MURNAU
INTERPRETI: GEORGE ‘O BRIEN, JANET GAYNOR, MARGARET LIVINGSTON, BODIL ROSING
VERSIONE DVD: SI’, edizione BIM (2005)
“LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA”

Estate. La tranquillità di un villaggio di campagna in riva al lago è sconvolta dall’arrivo, tra i villeggianti, dell’ammaliante Donna della Città: la signorina infatti seduce un agricoltore, che per lei comincia a trascurare famiglia e lavoro, e lo convince a liberarsi della moglie affogandola durante una gita in barca. Sul punto di compiere il delitto, l’uomo ci ripensa, provocando comunque la fuga della consorte, che sale su un tram e arriva in città; il marito, pentito, la segue e tenta di tutto per farsi perdonare. Dopo aver assistito casualmente a un matrimonio, i due si riconciliano e cominciano una vera e propria seconda luna di miele tra i divertimenti della città finché, giunta la sera, decidono di tornare a casa. Durante la traversata notturna del lago un’improvvisa e violentissima tempesta li fa naufragare. L’uomo si salva a stento, mentre della moglie non c’è traccia, nonostante tutti gli abitanti del villaggio partecipino alla sua ricerca; solo grazie alla tenacia di un anziano la donna viene ritrovata e portata a casa sana e salva. Passata la bufera, si accendono le prime luci del nuovo giorno e, mentre la moglie recupera lentamente le forze sotto lo sguardo amorevole del marito, la Donna della Città capisce che è arrivato il momento di fare le valigie…

Il 1927 è un anno spartiacque per la storia del cinema. Escono almeno quattro capolavori del muto, quali il celebratissimo Metropolis di Fritz Lang, Il vento dello svedese Victor Sjostrom, il monumentale Napoleon di Abel Gance e lo stesso Aurora, primo film americano del geniale quanto sfortunato regista tedesco Friedrich W. Murnau, autore di opere memorabili come Nosferatu, L’ultima risata e Tabù, e scomparso prematuramente nel 1931 a soli 42 anni per un incidente automobilistico. Ma il 1927 segna al tempo stesso, dopo l’apice, anche la fine del cinema muto, con l’arrivo del primo film sonoro della storia, Il cantante di Jazz di Alan Crosland. La rivoluzione del sonoro provoca un vero e proprio terremoto nel mondo della Settima Arte: molti tra i grandi registi e attori dell’epoca si ritrovano disorientati di fronte alla fulminea e inesorabile avanzata del progresso, e per alcune stelle di prima grandezza (come il regista David W. Griffith o l’attore comico e regista Buster Keaton), incapaci di adattarsi al nuovo corso, ciò significherà il declino. Lo stesso Chaplin, tra gli ultimi grandi del muto ad arrendersi, dopo Luci della città (1931) e Tempi moderni (1936) passerà definitivamente al sonoro. Aurora rappresenta quindi uno dei colpi di coda per un cinema ormai al tramonto.

Aurora, ovvero “La canzone di due esseri umani” (così recita il sottotitolo), una canzone la cui semplicità e limpidezza ne fanno un motivo universale, ascoltabile in ogni tempo e in ogni luogo, come precisa il cartello che introduce la storia. Più che di una canzone, volendo paragonare il film a una composizione musicale, sarebbe forse più corretto parlare di una sonata, data la struttura tripartita del film, che comincia come un dramma (la relazione extraconiugale, il progetto dell’omicidio, il tentativo incompiuto), muta inaspettatamente in commedia (la riappacificazione in città e gli svaghi da coppietta in gita domenicale) e ritorna precipitosamente drammatico con la tragedia sfiorata nella parte finale (la tempesta, il naufragio ed il presunto annegamento della moglie). La storia “suona” bene in ciascuno dei suoi tre movimenti, e i cambi di registro, per quanto repentini, sono fluidi e armoniosi, tanto che non sarebbe esagerato definire Aurora come un film totale, capace, cioè, di eccellere sia quando “fa sul serio” (il dramma) che quando “scherza” (la commedia). La cupezza quasi gotica della prima parte e lo sconvolgimento della terza sono mitigate dall’intermezzo leggero – che offre anche momenti comici, come l’inseguimento del maialino – della visita al luna park, luogo che lo sguardo ingenuo dei due sposini di campagna identifica forse con la città tout court: un posto felice, perennemente animato da feste e musica, pieno di persone gentili e servizievoli (basta pagare…).

Nella lucida e disincantata visione di Murnau, la città appare invece come un caotico dedalo soffocato da un traffico infernale – e siamo solo nel 1927! -, popolato da curiosi esseri che vanno sempre di fretta, in chissà quali faccende affaccendati, e che si mostrano disponibili solo per interesse: una visione negativa del presente/futuro di precisione chirurgica (anche se meno estrema di quella mostrata, sempre nello stesso anno, dal già citato Metropolis). In Aurora, la dicotomia campagna/città sembra risolversi nettamente a favore della prima: l’ordine e la tranquillità della vita agreste, contrapposte al caos e ai rumori della metropoli, luogo plasmato dall’Uomo a sua immagine e somiglianza. La dicotomia, quindi, è implicitamente anche tra Uomo e Natura: la campagna, dove ancora la presenza della Natura è rilevante, è popolata da persone semplici e generose, per le quali la solidarietà (come dimostrano gli abitanti del villaggio, che si mobilitano in massa nelle ricerche della moglie dispersa) è un valore sacro; la città, ambiente fortemente antropizzato, è una giungla di tentazioni e perdizione, dove domina l’individualismo, ed è il luogo da cui proviene la stessa Donna della Città, figura ambigua e oscura, perfetta incarnazione del Male. Se una tale suddivisione manichea del mondo può apparire semplicistica e riduttiva – e di fatto lo è -, bisogna tenere presente che il film non ha alcuna pretesa di rappresentare la realtà, bensì di narrare una storia, anzi, una favola. E questo è Aurora: una meravigliosa favola, raccontata, anziché a voce o per iscritto, sfruttando la capacità affabulatrice del cinema, mezzo che all’epoca era ancora ricco di potenzialità inesplorate. Emblematica e toccante la scena in cui il cane, forse percependo le intenzioni malvagie dell’uomo, dopo aver “protestato” a gran voce si libera dalla catena per lanciarsi all’inseguimento della barca appena partita per la gita sul lago, nel tentativo di impedire l’imminente delitto.

Aurora ha conquistato ben tre Oscar: uno per l’interpretazione di Janet Gaynor, uno per la fotografia, più un Oscar speciale al film per i suoi meriti artistici: più che giusto! A livello tecnico, oltre che per la suggestiva e affascinante rappresentazione delle chapliniane “luci della città”, il regista stupisce per l’inusitata (per l’epoca) profondità di campo di certe inquadrature, ottenuta attraverso astuti espedienti – svelati brevemente nei contenuti speciali del DVD – che dimostrano tutta la sua genialità. Gli extra del disco propongono anche alcune scene inedite eliminate in fase di montaggio e un interessante documentario su 4Devils, il film perduto di Murnau.

Francesco Vignaroli

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