Si pubblicano le poesie di Giuseppe Tamburello, partecipante alla sesta edizione del Premio di Poesia Pierluigi Galli.
Al limitare della vita
Erano i tempi
dei giochi di strada,
per le assolate vie
del mio borgo natio,
giù nel profondo Sud.
Erano i tempi
che andavo a lu mastru,
che coltivavo sogni di bambino,
mentre apprendevo l’arte da vicino,
lì nel profondo Sud.
Uno spettro sinistro
si aggirava per le vie
di Ribera:
una miseria nera,
lì nel profondo Sud.
E la pativo, certo,
ma la scuola come una fata
mi prese per mano;
sognai di andar lontano,
di lasciare il mio Sud.
Avevo in cuore tanta nostalgia
lasciandomi alle spalle il sole, il mare,
ma mi dicevo: “devi migliorare,
non puoi fermarti, devi emigrare!”
Mi aspettavano a Firenze
la cultura, l’arte, i sogni,
gli amori giovanili,
piazze e palazzi dei più vari stili,
musei e giardini che non scordo più.
Ma un’altra volta il vento della vita
mi sospinse lontano:
l’operosa Milano mi voleva lassù.
Stabilità, certezze, la carriera,
e il bene più prezioso:
la famiglia, la mia Rosalba
e una stupenda figlia,
che volevo di più?
Ma adesso,
al limitare della vita,
guardando l’alba
col sole nascente,
spesso un pensiero
mi ritorna in mente:
non sentirò più
il canto degli uccelli,
non più vedrò
il tramonto del sole,
la piacevole brezza del mattino,
e i ricordi, la vita, il mio destino,
assisteranno all’umano declino.
Sognar l’amore
Lo stil prenderò dell’Aretin poeta
che cantò di Laura l’Amor sovrano,
in suo onor invocherò questo brano
“Zefiro torna, e il bel tempo rimena…
ridono i prati, e il ciel rasserena.”
E quivi deposta la quiete notte
giacean all’ombra le pecorelle,
similmente si diedero a blandi riposi
i leggiadri levrier che felici correan
in quel locus amoenus a Febo sacro.
Ed ancor sopito l’esule vagabondo
mirava tutt’intorno la vispa natura,
in attesa dello spuntar l’aureo sol
si mise a cantar col cuor ridente
l’attesa venuta dell’alba nascente.
“Zefiro torna, e il bel tempo rimena”
a far cantar ciò che il cuor anela,
lo sbocciar l’Amore in primavera
la bella stagion ove tutto si avvera.
Fu così che il gaudio poetar
risvegliò la passione amorosa
profumata più che una rosa.
Oltre all’ebbrezza dei versi,
il fascino della bella stagion.
Cantavan e ballavan tutti uniti
tra il profumo dei prati fioriti,
si specchiavan nei ruscelli
allietate dal canto degli uccelli.
Esultavan le giovin donzelle
scalpitanti come gazzelle,
eccitate e prive d’imbarazzi
si davan a piacevoli sollazzi.
Galeotto fu quel prato fiorito
da purpuree rose abbellito,
così fu la piacevole poesia
a far nascere amori in allegria.
Ciò che mi resta
Mi restano i miei occhi,
che, come il mio pensiero,
sanno cernere il vero
da profumi e balocchi.
Rimane il mio cuore
che ancora si emoziona
nel vedere la bellezza
che la natura ci dona.
Restano le mie gambe,
di eterno vagabondo,
che, in giro per il mondo,
mi sorreggono entrambe.
Ma, ancora più prezioso,
conservo il mio pensiero,
pur se il tempo severo
avanza minaccioso.
Mi resta la famiglia:
primo riferimento,
vitale sentimento,
che, in questo, mi assomiglia.
Ecco, in un’altra vita,
cosa vorrei provare
almeno a ricordare,
con dolcezza infinita;
e il viaggio ultraterreno,
con queste mie emozioni,
ricordi e sensazioni,
affronterò sereno.