In scena al Teatro Franco Parenti di Milano, fino al 3 dicembre 2023
Il Misantropo, spettacolo di celebrazione del 50° di Fondazione del Teatro Franco Parenti (nato Salone PierLombardo) è al tempo stesso omaggio a Molière e occasione di ricordo del fondatore che allestì, nel 1977 un’edizione de Il Misantropo ancor impressa nella memoria. Nella bella traduzione di Valerio Magrelli, fedele nel ritmo e nella metrica all’originale in alessandrini in rima baciata che, liberata da false seduzioni di attualizzazione, lascia sia la parola pura a imprimersi nell’animo dello spettatore, suscitando le dovute rispondenze. Dentro lo scorrere dei versi, e la musicalità della rima, si accentua lo scorrere musicale della rappresentazione. Non a caso Eliana canta alcuni versi e lo stesso fa Alceste…Nel 1666 Molière con Il Misantropo scrive la più perfetta commedia di carattere di tutto il teatro francese: classico esempio di grande comédie nei canonici cinque atti, che nulla concede al facile approccio della “commedia”, se già Voltaire osservava essere fatta per gli intellettuali più che per l’abitudinario spettatore. Alceste, novello Don Chisciotte, combatte fieramente in solitaria le piccole e grandi ipocrisie che la vita mondana ha quasi consacrato a legge del vivere, esasperato da una filosofia e da uno spirito nemico di ogni convenzione sociale. Lo stesso vale per l’incongrua maniera con cui pensa legarsi alla bella Célimène, un affetto che prende le regole della galanteria al perfetto rovescio. Un soggetto sicuramente stravagante e quasi ridicolo nella sua testardaggine, ma nel quale non si può non ammirare la pratica – per quanto intransigente – della virtù di sincerità e giustizia. Attraverso di lui vediamo il mondo com’è realmente; un’immagine senza lenti dorate, in tutte le sue contraddizioni. Molière sembra divertirsi lasciandoci sospesi nel giudizio su questa pièce: nessuno ha torto e nessuno ragione. Eppure, abbandonando al termine la scena, e il mondo, Alceste ha innegabilmente fatto un cammino: dalle rodomontate iniziali, è drammaticamente passato a una dolente coscienza di se e del mondo che lo circonda. Una visione che molto s’imparenta con i problemi che la vita morale pone a noi moderni, nel panorama della civile convivenza. Il momento della riflessione del deserto che regna in noi. Il Misantropo di Molière è un progetto di Andrée Ruth Shammah e Luca Micheletti, produzione del Teatro Franco Parenti / Fondazione Teatro della Toscana. La regia è della stessa Shammah, che ha cercato di dare alla comunicazione del testo il peso significante di ogni parola, creando movimenti condizionati all’essenzialità richiesta dalla commedia. In filigrana si percepisce la fedeltà “al modello Parenti” che, nella recitazione cercava la cura della dizione, perché ogni parola o verso fosse ispirato da un sentimento e il variare di questo fosse la variazione del verso, a rendere così il Misantropo una conversazione ininterrotta, in cui i personaggi si svelano. Luca Micheletti, Alceste, è un misantropo travolgente, tutto di corpo, che spinge fisicamente il giogo della razionalità agli estremi; più focoso e ardente che lucido razionalizzante; un irruente assolutista cui riescon bene i momenti di perorazione amorosa, poi di amaro disincanto, più che l’analisi concettuale. Abile ed eclettico artista della scena si avvale della sua bella voce e musicalità per darci un saggio di canto, in struggente pianissimo. Accanto a lui il ben delineato Philinte di Angelo Di Genio, amico fedele ricco di buon senso e saggezza, usati con razionale perspicacia. Intenso ed espressivo, con una recitazione sfumata che molto cura la parola, sbalza un personaggio restituendocene l’umanità e il valore dell’amicizia disinteressata, cui fa solo difetto un esagitato uso delle mani. Marina Occhionero, col fascino della graziosa figura e ancor più dell’intrigante sorriso offerti a Célimène, lascia indifferenti nel prosieguo, tratteggiando insufficientemente il volubile carattere di una preziosa che, più che esser ridicola, non è conscia del male che persegue; l’attrice non giungendo a un valore timbrico della parola, evoca degli stati d’animi artefatti. La consumata frequentazione della scena di Corrado D’Elia, ci fa godere di un sagace Oronte, dalla teatrale mobilità di viso e occhi a rispecchiare quelli dell’animo. Bravi i due marchesini: Lacasta un pertinente Vito Vicino e Clitandro di Filippo Lai, leggermente stridulo nell’uscita di scena. Maria Luisa Zaltron è una discreta Eliana, che risolve il personaggio con aerei cantari mentre Orsina aveva la voce con accenti più drammatici di Emilia Scarpati Fanetti. Il bravo Andrea Soffiantini, Basco erede di una scuola che va ahimè sparendo. Completavano egregiamente il cast: Pietro De Pascalis, Du Bois, Francesco Maisetti, Guardia e Matteo Delespaul, secondo servitore. Scene di Margherita Palli, che tratteggia con pochi tocchi l’opulenza della società in cui Alceste si trova a misurarsi; una serie di sipari e preziosi scampoli di stoffe, tre porte che non portano in nessun luogo ma inquadrano l’apparizione teatrale dei personaggi. E quel pavone, forse citazione del precedente Misantropo di Parenti. Costumi di Giovanna Buzzi molto belli, luci fascianti e pertinenti di Fabrizio Ballini, musiche raffinatissime di Michele Tadini. Successo caloroso con vere ovazioni per Micheletti e Shammah.
gF. Previtali Rosti