“Cabaret” made in Italy

Data:

 

Al Teatro Nazionale di Milano, fino al 10 Dicembre 2023

Arriva al Teatro Nazionale di Milano Cabaret: un altro cult del musical theatre americano, noto a tutti grazie al film del 1972 diretto e prodotto dal genio incondizionato di questo genere, Bob Fosse, con Liza Minnelli e Michael York, vincitore di vari Premi Oscar esattamente cinquant’anni fa, tra cui Regia e Miglior Attrice alla Minnelli.
Come Chicago, Cabaret è uno degli esempi più calzanti di quello che ormai è noto come stile Bob Fosse, dal suo creatore: il primo a mettere inscena uno stile di danza che, se si esce da Broadway, è ben difficile da vedere nella sua autenticità. Lo stesso Fosse nasce come ballerino, come molti altri, ma diventa un coreografo e regista unico, firmando veri e propri capolavori: i meno noti The Pajama Game (1954) e Damn Yankees (1955), poi Sweet Charity (1969), Cabaret (1972) e Chicago (1975) fra gli altri. La prematura morte per infarto nel 1987, a soli sessant’anni, gli ha impedito di proseguire con le sue opere geniali.
Versione cinematografica del già esistente spettacolo teatrale del 1966, per cui Fosse perse la testa e la salute alla ricerca della perfezione registica e coreografica, Cabaret è ambientato nella Berlino del 1931. Uno studente americano, Brian Roberts, arriva nella capitale tedesca proponendosi come insegnante di inglese: timido ed impacciato, rimane impressionato dalla sua vicina di stanza nella pensione dove ha trovato alloggio, Sally Bowles, una soubrette che lavora al Kit-Kat Club, un locale cabaret frequentato da ogni tipo di genere umano: omosessuali, intellettuali, artisti e borghesi in cerca di trasgressione. Ben presto, l’amicizia tra i due diventa qualcosa di più. Fritz, un amico tedesco ma di origine ebraiche, si dibatte tra mille difficoltà finanziarie ed individua la soluzione ai suoi guai in un matrimonio d’interesse. Così, quando Brian comincia a dare lezioni di inglese alla ricchissima Natalia Landauer, Fritz gli chiede di presentargliela, ma Natalia, oltre ad essere ricca, è anche bellissima ed il cacciatore di dote si innamora sinceramente della sua “preda”. Sally conosce casualmente Max von Heune, un ricco aristocratico tedesco, bello ed affascinante, che sembra corteggiarla, intanto che il Nazismo prende sempre più piede. Brian accusa Sally di essere una ragazza fatua, frivola e leggera, ed anche di averlo tradito con Max: Sally non accetta di essere imbrigliata in una relazione che non la lasci libera e rivendica il suo diritto di fare ciò che vuole. Ammette di essere l’amante di Max e non si pente di quello che ha fatto. Ormai i raid nazisti si fanno sempre più frequenti e coinvolgono anche lo stesso cabaret, ritenuto un covo di viziosi degeneri. Sally rimane incinta, ma non è sicura se di Max o di Brian; quest’ultimo però decide di prendersi cura di Sally e del bambino. Fritz decide di chiedere Natalia in moglie all’avvento del regime: il suo, però, è un atto di coraggio, perché Natalia è ebrea; Fritz le confessa di esserlo anche lui, ed i due si sposano mentre monta la marea dell’antisemitismo. Un giorno, rientrato in stanza, Brian scopre che è sparita la pelliccia di Sally: è servita a pagare l’aborto della ragazza, perché Sally non si arrende alla prospettiva di una vita da casalinga. Brian parte per l’Inghilterra, Sally rimane per cercare di realizzare i suoi sogni d’attrice.
La versione italiana con la regia a quattro mani di Luciano Cannito, un veterano del teatro musicale nostrano, e del re del trasformismo Arturo Brachetti, è leggermente diversa nella trama e nei nomi dei personaggi. Una regia bella, vivace, mai noiosa né statica: lo spettacolo non è breve ma vola senza nemmeno accorgersene.. Diana Del Bufalo, ex Amici e volto della televisione, è una discreta Sally: quando si interpreta un ruolo dopo un mito come Liza Minnelli è impossibile eguagliarlo, e questo lo sapevamo, ma la sua splendida voce è davvero degna di nota: peccato che non danzi praticamente nulla. La parte di Brian, qui rinominato Cliff, che fu di Michael York, è affidata a Christian Catto: perfetto, bravo, nel ruolo, assolutamente a suo agio. Natalia e Fritz sono sostituiti da Fraulein Schneider e Herr Shultz, Christine Grimandi e Fabio Bussotti, rispettivamente la padrona della pensione e un fruttivendolo ebreo: dopo aver pianificato il matrimonio però lei si tira indietro, in seguito a minacce ricevute. Arturo Brachetti interpreta Emcee, il presentatore del Kit-Kat con un ruolo da narratore-Virgilio lungo tutta la vicenda. Completano il cast Fraulein Kost, una spettacolare Giulia Ercolessi, un’inquilina della pensione che svolge il mestiere più antico del mondo, ed Ernst Ludwig, Niccolò Minonzio, più otto danzatori multitasking, attori e cantanti a seconda della scena.
Quando si vede una trasposizione italiana di un cult del musical theatre americano, bisogna sempre aspettarsi che non si è, purtroppo, a Broadway. I teatri italiani non sono pensati per questo genere di spettacolo e a volte, come in questo caso, le scenografie molto imponenti, seppur belle, sono un po’ troppo ingombranti per il palco del Nazionale, infatti il corpo di ballo è un po’ sacrificato negli spazi. Le coreografie sono come sempre splendide, con una buona base classica, ed i danzatori bravi e soprattutto trasmettono passione per quello che stanno facendo. Le canzoni, prevalentemente in Italiano, con la direzione di Giovanni Maria Lori, non sono male, anche se si ha troppo in mente le originali; la band dal vivo, composta da quattro elementi, fa la differenza.
Bob Fosse, ovunque sia, apprezzerà sicuramente questo tentativo tutto made in Italy di ridare vita ad uno dei suoi lavori più importanti ed originali.

Chiara Pedretti

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