Woody Allen trova a Parigi “Un colpo di fortuna”

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Nuovo Cinema Caporali, Castiglion del Lago (PG). Martedì 12 dicembre 2023

A due anni di distanza da Rifkin’s Festival, l’ottantottenne Woody Allen è tornato nuovamente in Europa – stavolta a Parigi, dove aveva già girato Midnight in Paris – per Un colpo di fortuna – Coup de Chance, suo cinquantesimo lungometraggio. Il film, il primo girato in lingua francese dal regista, mostra la crisi del matrimonio tra due esponenti della borghesia parigina, il controverso faccendiere Jean (“CHE MESTIERE FACCIO? AIUTO I RICCHI A DIVENTARE PIU’ RICCHI”) e la giovane moglie Fanny, gallerista. Tale crisi è innescata dall’incontro casuale tra Fanny e l’ex compagno di liceo Alain, evento da cui nascerà una relazione extraconiugale che stravolgerà la vita di tutti e tre i personaggi coinvolti.

Rinunciando completamente alla sua consueta ironia (di cui possiamo rilevare l’unica traccia nella trovata dei trenini elettrici, grande passione di Jean), Allen torna a riflettere sul ruolo del Caso nella vita, come già aveva fatto in Match Point (2005), di cui Un colpo di fortuna costituisce probabilmente il seguito non dichiarato. Mentre il pragmatico Jean afferma di non credere nella fortuna, “PERCHE’ IO LA FORTUNA LA PROVOCO”, l’idealista Alain – che di mestiere fa lo scrittore – osserva come già l’atto stesso della nascita sia un evento miracoloso, che si verifica a dispetto di un calcolo probabilistico che definire sfavorevole è poco. Nascere, quindi, è come vincere alla lotteria (altro evento altamente improbabile), e allora tanto vale comprare un biglietto e tentare di nuovo la sorte… Per affrontare tali tematiche il regista ha scelto il genere thriller, girando un film essenziale, freddo e dall’intreccio lineare e piuttosto prevedibile, finale a parte (una conclusione a sorpresa, stavolta, decisamente più “politicamente corretta” di quella vista in Match Point…). Non mancano le stoccate verso il capitalismo (il personaggio di Jean, che considera la bella moglie alla stregua di un trofeo da decorare con apposito “brillocco” per poi esibirla con gli amici, ne è l’esempio più esplicito) e la borghesia, qui spogliata di qualunque spessore intellettuale e mostrata in tutta la sua annoiata superficialità e mediocrità. Nulla di originale, insomma, ma il talento di Woody nel suscitare l’interesse dello spettatore non è in discussione, e anche stavolta si rimane irretiti dalla sua arte affabulatoria. Teatro della vicenda, una sempre deliziosa Parigi autunnale, che il regista tratta come la sua New York. Ottimo il cast, costituito interamente da attori francesi (Jean è interpretato da Melvil Poupaud, Fanny da Lou de Laâge); consueta raffinatezza nella scelta dei brani per la colonna sonora jazz, con il ricorrente quanto azzeccato utilizzo del classico Cantaloupe Island di Herbie Hancock, che si sposa a meraviglia con il ritmo del film.

Considerando l’anagrafe, sarebbe eccessivo aspettarsi il Woody dei tempi migliori – già in Rifkin’s Festival si percepiva una certa stanchezza creativa – ma, come insegna l’esempio di Clint Eastwood, i Grandi Maestri rimangono tali anche a novant’anni suonati, e riescono sempre (o quasi) a inserire qualche guizzo vincente nelle loro opere, mantenendone la qualità artistica a un livello più che dignitoso. Ciò detto, spetta ovviamente al pubblico il compito di domandarsi se questa considerazione sia sufficiente per concedere fiducia al regista e andare al cinema. Nel caso di chi scrive, la risposta è affermativa.

Francesco Vignaroli

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