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“Don Carlo” inaugura la stagione del Teatro alla Scala

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Recita dal 13 dicembre 2023 al Teatro alla Scala di Milano

Vertice dell’ispirazione musicale verdiana, il tenebroso Don Carlo descrive un mondo straziato di vittime del potere al tempo della Sacra Inquisizione spagnola.  Giuseppe Verdi l’aveva definita “opera mosaico” per la diversità di situazioni e per la monumentalità da grand opéra, genere che non mirava certo alla concisione. Don Carlos, composto su versi francesi per l’Opéra di Parigi nel 1867, fu soggetto a continue revisioni da parte del compositore, ben cinque quelle accertate. Il Teatro alla Scala sceglie per il Sant Ambrogio il Don Carlo versione in quattro atti, curata per il teatro milanese: la più concisa delle cinque conosciute, con il finale fantasma di Carlo V che sottrae il nipote al Sant’Uffizio. Articolato il percorso creativo di Don Carlos/ Don Carlo, d’intricata e quasi romanzesca gestazione. Verdi, dopo aver composto Les Vêpres siciliennes in puro stile “grand opera” e aver già familiarizzato con la drammaturgia schilleriana (Luisa Miller, Giovanna d’Arco e I Masnadieri) andava via via approfondendo il dramma di Schiller Don Karlos, pronto così per la nuova sfida musicale. Impresa ardua elaborare un libretto operistico da quel monumentale lavoro, non sempre rispettoso della verità storica e dall’intreccio che si perde in mille rivoli: ai librettisti Méry e du Locle l’incarico di portarlo a una forma operistica musicabile. Il compositore bussetano non facilitò l’ardua impresa, volendo conservare i dialoghi tra Filippo II e il Marchese di Posa e tra Filippo e il Grande Inquisitore – ardui da rendere in canto, ma di cui era rimasto impressionato. Don Carlos pur con i tagli dell’ultimo momento durava quattro ore e mezzo; troppo, anche per le scene parigine. Verdi fu obbligato ad altre cesure. Così finalmente l’opera apparve nel marzo del 1867, la versione “francese” corrente, in cinque atti e balletto. Seguirono rappresentazioni a Londra (in traduzione italiana con rimaneggiamenti non verdiani) poi Roma, Milano e Napoli, in edizioni manomesse, che spinsero nel 1872 Verdi a riscrivere, accorciandoli, alcuni pezzi, notoriamente i duetti tra Filippo e Posa e tra Don Carlo ed Elisabetta. Nel 1883, dopo matura riflessione, il musicista bussetano intraprese una revisione ancor più radicale: ne sortì un nuovo snellito Don Carlo, col titolo in italiano: alla Scala, nel 1884 fu un grande successo. Verdi attento al clima teatrale colse però le lamentele per la soppressione del primo atto francese e, a Modena nel 1886, l’atto di Fontainebleau riprese il suo posto, edizione che Ricordi pubblicherà nel 1887: cinque atti senza balletto. Da qualunque punto si consideri la questione Don Carlos/Don Carlo, è impossibile pensare a una stesura definitiva, giacché molti dei pezzi che si omettono optando per una versione anziché un’altra, sono spesso di gran valore. Un critico musicale ha fatto notare come Verdi (ma anche Schiller) abbia troppe ispirazioni per essere contenute nella rappresentazione di una sola sera. La versione parigina (che Verdi pensava non travalicasse i confini dell’Opéra), riflette la sua visione del grand opera, mentre le versioni italiane si basano su un idioma, il nostro, che era la lingua franca del tempo e con il quale erano rappresentati i lavori operistici (non solo italiani) in tutti i teatri del mondo. Francia esclusa, ovviamente. In omaggio alla storia del gran teatro milanese è il Don Carlo del 1884 a inaugurare la Stagione scaligera 2023/24, nel nuovo allestimento affidato alla regia di Lluís Pasqual, scene Daniel Bianco, costumi Franca Squarciapino, luci di Pascal Mérat e movimenti coreografici di Nuria Castejón. Sul podio il Maestro Riccardo Chailly ha speso energie nella concertazione di un’opera impegnativa, prediligendo tempi larghi, alternati a turgori reboanti e teatrali, raggiungendo il culmine nelle malinconiche atmosfere del duetto d’amore finale. Francesco Meli era Don Carlo come nell’edizione del 2017: interprete partecipe, accenti sinceri e accorati, sia nei duetti con Posa (soprattutto nella Prigione) sia in quelli amorosi con Elisabetta, soprattutto in quello finale; credibile anche nelle situazioni drammatiche, con Filippo II ed Eboli. La voce non è più ferma e gli acuti sono spesso forzati; gli difetta un miglior uso delle mezze voci, spesso sbiancate. Intensa Elisabetta di Valois, di Anna Netrebko ad onta di un incipiente usura vocale compromessa nell’omogeneità dei registri dai pesanti ruoli sostenuti. Fa valere l’espressività dell’interpretazione con struggenti filati e sfumature di canto che si riflettono in risonanze malinconiche (Non pianger mia compagna) e nell’aria finale Tu che le vanità e nei duetti d’amore, velatamente passionali. Non impeccabile nei passi più accesi e drammatici, che risolve ingrossando il suono. Michele Pertusi, Filippo II di voce non stratosferica per volume e gravità di suono, ha timbro nobile e si cala facilmente nella parte, piglio regale e imperioso che la frequentazione del personaggio gli ha conferito; ultima la bella prova sostenuta a Piacenza il mese scorso. Qui si è apprezzato per un fraseggio insinuante e torvo, imperioso, ma lacerato nell’animo, del monarca, che trova l’apice in Ella giammai m’amò, risolto in frasi sussurrate, impastate di rimpianto e delusione. Luca Salsi s’impegna allo spasimo nel delineare Rodrigo, Marchese di Posa con un timbro che si è ulteriormente irrobustito. Encomiabile per il fraseggio meticoloso, partecipe e commovente nell’idealismo e nella devota e leale amicizia, ma gli difetta la nobiltà dell’accento in una pur passionale partecipazione. Elīna Garanča Principessa d’Eboli elegante e dalla fine linea vocale, interprete corretta, caratterizzata da un fraseggio mai veramente voluttuoso e sensuale. Canzone del velo è stesa su un turgore orchestrale, la voce scintilla nell’ottava superiore ma tendendo ad aggravare i centri che non ha pieni. Jongmin Park vestiva i panni sia del Grande inquisitore sia di Un frate, timbro scuro e possente ma dalla dubbia emissione, riesce a imprimere un sinistro e fosco vigore al personaggio. Elisa Verzier Tebaldo puntuale e di fresco timbro, mentre Rosalia Cid era la suadente Voce dal cielo. Corretti i Deputati fiamminghi. Buona la resa dell’Orchestra scaligera e ottimo il Coro, in impalpabili pianissimi. Impianto scenico fisso, caratterizzato da claustrofobiche cancellate, gabbie da cui nessuno riesce a sfuggire e contenitore cilindrico che si apre su pochi ambienti. Imponente il retablo en pan de oro nelle cui nicchie sono schiacciati i monarchi, sovrastati dal potere religioso. Regia statica che si risolve in prevedibili tableaux vivants: poche le suggestioni evocate, scarse le emozioni suscitate. Costumi preziosi occhieggianti la pittura spagnola e olandese; uniche macchie di colore in tanto nero (pur tinta ufficiale delle corti europee del tempo), quelle dei nani danzanti. Festante accoglienza finale per tutta la compagnia di canto e per Chailly.

gF. Previtali Rosti

Foto Brescia e Amisano

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