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“Il ragazzo e l’airone”: l’atteso ritorno di Hayao Miyazaki

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Dopo l’ottimo Si alza il vento (2014), il grande regista giapponese Hayao Miyazaki aveva deciso di ritirarsi, salvo poi ripensarci ed annunciare nel 2016 un nuovo progetto, ispirato ad alcuni romanzi e alla propria vita. A dieci anni di distanza dall’uscita dell’opera precedente, è quindi tornato in sala con Il ragazzo e l’airone, film dalla gestazione lunghissima e complessa. L’attesa era forte, anche perché il produttore Toshio Suzuki aveva optato per una strategia promozionale pari a zero: niente trailer, niente spot, nessun fotogramma, niente di niente, soltanto un’enigmatica e scarna locandina. Troppo poco per farsi un’idea sul film, e un tale alone di mistero non aveva fatto altro che alimentare la curiosità e l’interesse del pubblico per il ritorno del Maestro dopo un’assenza così prolungata.

La storia è ambientata in Giappone, nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale. Il protagonista è il dodicenne Mahito; dopo la morte della madre a causa di un incendio nell’ospedale di Tokyo in cui era ricoverata, il ragazzo si trasferisce con il padre e con la nuova moglie, sorella minore della madre, nella tenuta di campagna della famiglia. Qui fa la conoscenza di uno strano airone parlante che, con la promessa di fargli incontrare di nuovo la mamma, lo conduce ad una misteriosa torre abbandonata che è in realtà la porta di accesso per un mondo segreto in cui si è stabilito il prozio di Mahito, il costruttore della torre. E qui ci fermiamo.

Eccoci dunque alla domanda cruciale: Miyazaki è riuscito a celebrare il ritorno con un’opera all’altezza della sua fama? O, in maniera più spiccia: ne è valsa la pena? La risposta è sì, ma con riserva. Chi ha dimestichezza con il cinema del Maestro potrà facilmente notare nel film una certa tendenza all’autoreferenzialità (se non all’autocelebrazione: difficile non individuare un alter ego del regista nel personaggio dall’anziano saggio alla ricerca di un degno successore cui affidare le chiavi del regno…), caratteristica già riscontrabile anche in altre sue opere, ma non in modo così netto. I temi cari al regista sono tutti presenti: il pacifismo, l’ecologia, la nostalgia per l’infanzia perduta, l’importanza data alle donne, la passione per il volo (nei personaggi dell’airone cinerino e dei parrocchetti). Ma tutto sa un po’ di già visto (e meglio, in precedenza).

Sull’animazione, sempre orgogliosamente di stampo tradizionale, non si discute: siamo sempre a livelli di eccellenza assoluta, per quanto alcuni spettatori potrebbero non apprezzarne il taglio rétro. Gli sporadici tocchi digitali si integrano a meraviglia nel contesto generale, contribuendo alla riuscita di sequenze come quella, davvero spettacolare, dell’incendio iniziale.

La sceneggiatura, che offre una prima parte dal ritmo lento e contemplativo per subire poi un’accelerata improvvisa nella seconda metà del film (più avventurosa e immaginifica), è molto complessa e non chiarisce a dovere alcuni snodi narrativi, aggiungendo elementi nuovi con una repentinità tale da impedire allo spettatore di elaborarli adeguatamente. Un’ulteriore difficoltà – ma, anche qui, i fan di Miyazaki ci avranno ormai fatto il callo – è costituita dai numerosi riferimenti ai simboli e agli elementi tradizionali della cultura nipponica, poco (o per niente) comprensibili per gli spettatori stranieri. Considerando tutto ciò, Il ragazzo e l’airone, come già era accaduto – in maniera forse più netta – con Si alza il vento, è un film più adatto agli adulti che ai bambini.

Due parole anche sulla colonna sonora, affidata come sempre al solito Joe Hisaishi: buona, adeguata al film, ma un po’ sottotono, quasi trattenuta, cioè priva di quelle aperture melodiche in grado di renderla memorabile. Ben realizzato, rimanendo nell’ambito del sonoro, il doppiaggio italiano, che si giova di un adattamento dei dialoghi appropriato (in passato non è stato sempre così…).

In conclusione, Il ragazzo e l’airone è senz’altro un film da vedere ma, se da un lato non abbassa il livello medio della produzione di Miyazaki, dall’altro non aggiunge nulla alla sua prestigiosa carriera, e rimane un passo indietro rispetto ai suoi capolavori (La città incantata e Il castello errante di Howl, per intenderci).

Francesco Vignaroli

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