Dopo qualche metro dall’inizio della mostra “I need to live” di Juergen Teller, ci sono affissi alcuni commenti scaricati dai social. Uno ha attirato la mia attenzione e mi ha fatto riflettere, come fruitore, scrittore, essere umano.
“If you don’t understand Juergen Teller’s work that’s your problem”. Sembrava un ammonimento del tipo “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate…”. Cosa dovevo aspettarmi da quelle parole così lapidarie, dette da una che sembrava saperla lunga? Se non mi fosse piaciuta la mostra avrei dovuto andare in psicanalisi? In pochi istanti, prima di venire espulsa dalla comunità come “ribelle e rivoluzionaria”, mi sono psicanalizzata da sola, quello che potevo, non sono uno specialista di psichiatria, un “padre spirituale” e nemmeno un Maestro Zen, ma mi conosco da tanti anni e qualcosa so di me, anche se “Io so di non sapere” ma… scusami Socrate e lasciami scrivere. Rimuginando tra me e me, con obbiettività e umiltà, sono arrivata alla conclusione che non soffro di alcuna psicosi (vabbè sono leggermente claustrofobica), mi reputo una persona sana di corpo e di mente. E non sono (che forse è quello che il post voleva sottintendere) né una bigotta, né una moralista, né una borghesuccia, e auspico la libertà di pensiero e di parola, sempre. Sono etica, però…e mi piace la bellezza in senso classico. La banalità a tutti i costi, e soprattutto quella barattata come espressione del genio la trovo non solo… banale ma anche stucchevole.
Detto tutto ciò, dovrei sentirmi in colpa?
Forse l’unico problema che ho è che non sono d’accordo quando la provocazione non lascia spazio allo spettatore di avere un’idea diversa. Nemmeno quando dietro di essa si filosofeggia fino alla nausea e si aprono tavole rotonde o quadrate che siano, per farti cambiare idea o per farti sentire stupido.
Ma non è che mentre tu accusi me di avere problemi, sei tu che ce li hai?
Il post, sibillino ma anche leggermente minaccioso, e per niente spiritoso, ha continuato a perseguitarmi mentre visitavo la mostra del famoso fotografo tedesco Juergen Teller e che apre alla Triennale di Milano il 27 febbraio, e visibile fino al primo di aprile del 2024.
La conferenza stampa ha visto l’introduzione di Stefano Boeri Presidente della Triennale, dell’Assessore alla Cultura del Comune di Milano, del curatore Thomas Weski e dell’artista stesso che indossava una simpatica felpa rosa shocking. Teller ha parlato poco, per fortuna, credo che sia un uomo di fatti più che di parole, ha ringraziato parecchio, come è giusto e poi, come è giusto, ha lasciato che le sue fotografie parlassero per lui.
Perché ogni artista è quello che fa. Quello che ci comunica, quello che cerca di comunicare. Che ci riesca o no, è libero di esprimersi come meglio crede. Quindi, dalle sue fotografie, possiamo davvero trarre molto della sua personalità.
La mostra, la cui installazione non è niente di che, è composta da gigantografie (poche) e di moltissime foto (sono circa duemila) di piccolo, piccolissimo, micro formato che a volte campeggiano solitarie e tristi sulla parete bianca. L’illuminazione non crea nessuna atmosfera. Circa una cinquantina formano una specie di storyboard dove una donna nuda è ritratta in una camera d’albergo in pose che dovrebbero essere sensuali. O forse no, Teller non la sopporta proprio la sensualità, è troppo razionale e per nulla romantico anche se quel Sturm und Drang è nato proprio a casa sua. Ma la donna è bella, per fortuna. Il nudo è quasi sempre presente nelle sue foto, un nudo ostentato, piatto e senza magia, e il più delle volte è proprio lui il protagonista senza veli di foto assai esplicite. No, non ho nessun problema a vedere un organo maschile, la “boschiva” in cui è immerso, la vagina aperta di una donna e le sue tette più o meno sode. Ma dipende da come vengono esposti. Il deretano di Teller non è particolarmente sexy. Si potrebbe anche farne a meno se non fosse che te lo ammanta per una storia quasi lacrimevole. Meglio Alexander Skarsgard…
Ma non ci sono solo nudi, anche bambini, celebrities, Iggy Pop, ritratto come un pazzo sciamano, Charlotte Rampling che posa nuda di fronte alla Gioconda (non ho capito il significato della cosa e non mi interessa saperlo), Bjork, la modella Kate Moss molto “acqua e sapone” in una foto brutta, street photographs, moda, advertisement, una vasta produzione da far perdere la testa. Forse se si fosse ristretto il campo a un genere solo e magari esposto con più cura, avremmo avuto modo di focalizzarci meglio. Invece ci sono pareti stracolme di riproduzioni in A4 dal pavimento fino al soffitto, a volte difficili da vedere. Si perde un po’ la testa tra quelle migliaia di foto una appicciata all’altra.
Spiegare un’opera d’arte, farci lezioni e conferenze, insomma qualcuno che “influenza” il nostro giudizio con un gran bla bla bla che alla fine lascia il tempo che trova. L’opera d’arte va vista, magari in solitaria, e attraverso questo primo senso, il suo contenuto emotivo sale al cervello o rimane in quel muscolo un po’ vilipeso che è il cuore. E se quell’opera ci ha trasmesso qualcosa, se ci è piaciuta, se ci ha “toccati” come una freccia, una lama, un colpo di pistola, e magari ci ha fatto riflettere su chi siamo, dove andiamo, da dove veniamo, senza che ci abbia imboccato il critico di turno o chissà chi, allora ha raggiunto il suo scopo. Certo, alcuni artisti invece sono del parere opposto. Fanno cose apposta per “provocare”, per “umiliare” le nostre sensibilità, la nostra semplicità. Anche questo è un percorso, e lo rispettiamo.
Nelle foto di Teller è un gusto dal sapore dubbio a dominare, è la piattezza delle inquadrature, o il barocchismo esagerato ma in fondo vuoto, è il suo narcisistico modo di fotografare. Non c’è né ironia, né umorismo. Anche se sembrerebbe di sì. Ma è più una maschera. Manca quell’erotismo raffinato alla Helmut Newton o la provocazione patinata di un LaChapelle o il divertissement di un Halsman. Comunque lui è lui, è diverso, e sa benissimo quello che fa. E come lo fa. La mano di una donna che tocca un cactus a forma di fallo… e allora? Si percepisce un freddo cimiteriale, una mancanza di empatia, e anche un pizzico di sadismo. Ho l’impressione che sia proprio che vuole. Vuole non piacere. Obbiettivo centrato. Oppure, piacere a tutti i costi.
Alla fine non ho capito di chi sarebbe il problema…
P.S La foto di lui con i palloncini si presta a molte interpretazioni…”che buffo”, “geniale!”, “che coraggio”, “divertente”… e bla bla bla…(sonoro di palloncini che scoppiano)
Daria D. Morelli Calasso