BERLINO, 21 FEBBRAIO – Il promettente debutto nel lungometraggio di un’attrice-cantante-compositrice italiana, Margherita Vicario, ha segnato positivamente la settima giornata del 74° Festival Internazionale del Cinema di Berlino, che continua a cercare quel film che lo distinguerà nella storia di questo evento.
Infatti, il suo compagno nella competizione di questa settima giornata è stato “Black Tea” del mauritano Abderrahmane Sissako, ambientato nell’antica Canton (oggi Guangzhou), vicina a Hong Kong, che fin dai tempi della dominazione coloniale si distingueva per essere un centro multiculturale e multirazziale che ancora conserva, e si tratta di un melodramma che non ha nulla da invidiare alle telenovelas sudamericane.
“Gloria!” è la storia di un gruppo di orfane musiciste di un convento vicino a Venezia, famoso per i suoi concerti musicali, che all’inizio del XIX secolo si prepara a ricevere il nuovo Papa con un recital che dovrebbe dare nuovo lustro all’istituzione.
Ma il vecchio sacerdote, che non solo dirige le allieve ma scrive per loro nuove composizioni, è in piena aridità ispirazionale e incapace di scrivere una sola nota, fino a quando le stesse orfane decidono di prendere in mano la situazione, proponendo le loro partiture.
Ispirato a una pratica molto diffusa nell’Europa del XVIII secolo, soprattutto a Venezia e Napoli, dove proliferavano i conventi che fornivano istruzione musicale ai loro pupilli e si mantenevano con gli introiti dei concerti (il più famoso era quello della Pietà di Venezia dove, nell’epoca in cui è ambientato il film, era diretto da Antonio Vivaldi), il film è un omaggio a quella pletora di anonime musiciste che non hanno lasciato traccia nella storia della musica.
Margherita Vicario è ciò che si chiama una figlia d’arte, essendo nipote di un cineasta e di un’attrice di cinema famosi nella loro epoca, Marco Vicario e Rosanna Podestá, e figlia di Francesco Vicario, frequente regista televisivo del festival della canzone italiana di Sanremo, ma è con la sua attività di cantautrice che a partire dal decennio dei dieci inizia a farsi notare nel mondo dello spettacolo, inizialmente come interprete di una ventina di film, tra cui l’italiano di Woody Allen, “To Rome with Love”, e poi come compositrice e animatrice di eventi musicali.
Nel suo debutto come regista (nel suo curriculum esisteva solo un cortometraggio co-diretto nel 2011), Vicario si rivela per la sua competenza narrativa, descrivendo il mondo chiuso e senza uscita delle orfane nonostante si mischino con il meglio della società del loro tempo, contando su un cast omogeneo di quasi debuttanti (tra cui si distinguono le più professioniste Galatea Bellugi e Carlotta Gamba) e una fotografia di primo ordine di Gianluca Palma, alzando così un po’ il livello di questo modesto concorso berlinese.
Abderrahmane Sissako è un regista mauritano di 63 anni che risiede per la maggior parte del tempo a Parigi ma è un vero giramondo, avendo ambientato i suoi film in vari paesi africani e arrivando ora fino alla stessa Cina, dove continua ad essere accompagnato da personaggi e interpreti del suo continente d’origine, in questo caso mostrando con linguaggio da telenovela sudamericana, la costante rivalità etnica che i cinesi mantengono con altre etnie che visitano il loro territorio.
Tutto inizia e finisce con un matrimonio collettivo in Costa d’Avorio dal quale la protagonista Aya (una bellissima Nina Melo) fugge senza pronunciare il fatidico sì, per poi apparire a Canton gestendo una casa da tè, con cui il proprietario mantiene una relazione ambivalente.
Ma questo caleidoscopio di situazioni e personaggi, dispiegato a forza di dialoghi farraginosi e monotoni piani e contro-piani, stanca lo spettatore che non rimane intrigato nemmeno dall’ambiguo finale.
Antonio M. Castaldo