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Antonio e Cleopatra

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Un’opera celebre e scarsamente rappresentata arriva al Piccolo Teatro Strehler con la regia di Valter Malosti, traduttore e curatore dell’adattamento – al fianco di Nadia Fusini. Una produzione Emilia Romagna Teatro ERT /Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino, LAC Lugano Arte e Cultura. William Shakespeare coglie Antonio e Cleopatra nel momento finale della loro vicenda umana, due amanti ormai vecchi, aggrappati disperatamente al piacere come emblema di giovinezza duratura. Plutarco, da cui deriva la narrazione, viene piegato dal bardo a precise esigenze espressive: le trasgressioni di ogni sorta raggiungono il loro culmine in quest’opera, dove comico e tragico s’intrecciano a suggerire la mutevole natura dell’inafferrabile reale. Con Antonio e Cleopatra il drammaturgo inglese non mostra solo la passione di due grandi amanti che costantemente s’inseguono e lasciano per ritrovarsi nell’eternità della morte, ma è anche una metafora della decadenza di una grande civiltà orientale, schiacciata dal muscolare e arrogante pragmatismo politico e dagli assolutistici concetti del nascente impero romano. Shakespeare nel proporre con lucida e spietata analisi i suoi personaggi, suggerisce di indirizzare lo sguardo più in alto, trascendendo l’elemento fisico verso una zona in cui sia libero il nostro spirito; palpabile per tutta la tragedia la contrapposizione tra l’elemento fisico rappresentato da Roma e quello metafisico dell’Egitto. Cleopatra, la “donna sopra tutte le donne”, che sognava di essere regina di re e imperatrice romana, è indubbiamente il simbolo centrale del lavoro mostrando, sullo sfondo degli avvenimenti storici, la tensione (che proviamo anche noi) e la ricerca verso un ideale di assoluto, destinato a non realizzarsi mai. Antonio unisce in se l’idea di amore e potere, privato e pubblico, cielo e terra, nel tentativo di conciliare Oriente e Occidente, significando due visioni politiche: tutta intrisa di concretezza e azione razionale l’una mentre l’altra, pur utopisticamente, propende per un idealismo sentimentale. Bene ha fatto il regista Walter Malosti a non prendere in considerazione, per allestire questo spettacolo, nessuna delle traduzioni esistenti, fatte non si sa per chi o forse per nessuno in particolare e metterla in scena con chissà quale senso ai nostri giorni. Sarebbe come ammettere che quella traduzione sia l‘originale: ogni traduzione per la scena equivale a una riscrittura del testo originale: si deve quindi “rifare il verso” per ricreare autentico lo spirito del drammaturgo, tornando a far pulsare la storia dei due amanti; non importa far sapere cosa è Antonio e Cleopatra di Shakespeare ma trasmettere agli spettatori le vertigini e le passioni che questo testo ha suscitato negli attori e al regista, per rendere vivo in scena questo dramma anziché leggerselo comodamente a casa. Rielaborare il linguaggio: l’attualizzazione di un testo si ottiene mantenendo le distanze fra diverse culture (pur con sottese similitudini critiche) e vedere i problemi del presente nello specchio degli avvenimenti del passato. Quello che conta è l’esperienza di ogni esistenza umana, in cui lottano orientamenti dettati dalla razionalità e i disordinati moti delle passioni che rendono faticoso il tendere verso un equilibrio. Questo di Valter Malosti è uno spettacolo lucido e limpido che trascende il tempo, dai ritmi serrati e perspicaci scansioni, con un incalzante susseguirsi di scene in cui non si avverte interposizione di tempo e spazio. Esaltazione del teatro di parola. Pregnante rappresentazione con le scene di Margherita Palli, costumi di Carlo Poggioli che sfrena ogni fantasia creativa soprattutto per Cleopatra, luci insinuanti di Cesare Accetta, musiche appropriatissime di GUP Alcaro, con la partecipazione della chitarra elettrica live Andrea Cauduro e arpa celtica live di Dario Guidi. Anna Della Rosa è Cleopatra di statuaria e regale presenza, abile danzatrice e dall’intensa mimica facciale. Ondeggia tra una recitazione antinaturalista e vagamente metafisica alternandola a una più sensuale e intrigante, sfruttando un’intensa gamma di colori di voce a tratteggiare l’emblema di una civiltà morente. Ci restituisce così un altro frammento, un bagliore di quell’enigmatico volto e della personalità della regina egiziana fra quelli prodotti sulla scena da grandi attrici che l’hanno preceduta. Valter Malosti, Antonio al tramonto della vita, carica il personaggio di una pacatezza conferitagli dalle amarezze della vita e, anche se non può contare su una tavolozza vocale di variegate espressioni, è sempre credibile per ergersi, nel finale, a eroe vincente anche nella sconfitta. Qualche segno di svaporatezza nella scena della morte. Danilo Nigrelli, Enobarbo d’intenso fraseggio e superba dizione, Dario Battaglia è Cesare Ottaviano di pregnante presenza e d’impulsiva e ruvida decisionalità, degno esponente della civiltà in ascesa cui gioverebbe qualche smorzatura nei toni, sempre esuberanti, per esser maggiormente credibile. Dario Guidi molto bravo nel rendere di Eros, con partecipe aderenza e nell’intenso canto, tutta l’ambiguità del personaggio. Massimo Verdastro, dal sapiente artigianato attorale cui da tempo ci ha abituati, offre all’Indovino incursioni profetiche di straniante ed evocativo profumo orientale. Ivan Graziano era un efficace Agrippa, Paolo Giangrasso un gustoso messaggero di Cleopatra, Noemi Grasso Incanto dall’esagitata presenza e dizione spigolosa, Gabriele Rametta soldato di Antonio di sincera e leale devozione, Carla Vukmirovic una discreta Ottavia e Flavio Pieralice un preciso messaggero di Roma. Accoglienze calorose per tutta la compagnia sottolineata da maggior intensità all’apparire di Anna Della Rosa e Valter Malosti. Al Teatro Strehler fino al 9 giugno.

gF. Previtali Rosti

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