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Una suggestiva serie di maschere, statue d’autori greci e latini e frammenti di commedie

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Nell’antichità ellenica dal IV al IV secolo nacque la consuetudine di celebrare l’unità culturale del Paese che aveva visto sorgere la filosofia, l’Arte, la Medicina e la matematica, con le feste panelleniche e panatenaiche, che si tenevano ogni anno nella capitale all’ombra dell’Acropoli con il Partenone di Fidia e Prassitele, mentre  il quadriennio veniva riservato alle gare istimiche  a Corinto, Nemee a Nemea, Delfiche all’ombra del santuario della Pizia ed Olimpiche da Olimpia in Arcadia , da dove è partita la corsa dei tedofori pure quest’anno, dopo l’accensione della torcia, per portarla con una lunga staffetta a Parigi , l’antica “Lutetia”, dove ad agosto si svolgeranno led nuove competizioni che ricevevano come premio all’origine una corona d’alloro. Le sfide erano inizialmente con il biathlon della lotta e pugilato cui poi vennero aggiunte la corsa, il lancio del disco e del giavellotto. Sul piano prettamente umanistico e letterario vennero inserite tre tragedie, ricordiamo Eschilo, Sofocle ed Euripide, più un dramma satiresco che un corego, oggi regista, doveva realizzare, con il canto dei corifei che esprimevano le riflessioni popolari civili rispetto al “cantuccio lirico” del poeta in  Manzoni, che inseriva le proprie considerazioni nelle due Odi e nel capolavoro epico degli umili e della Provvidenza. Naturalmente i soggetti si divisero l’ambito delle tematiche ed analisi  psicologiche dei personaggi in tragedie e commedie : l’oggetto delle tragedie dette “cothurnatae” dai calzari che portavano i protagonisti dovevano provocare la “catarsi” o purificazione dalle passioni dell’animo umano, mentre le commedie o “palliatae” dal mantello indossato avevano il compito di rispecchiare i vizi e le virtù dei personaggi cittadini ,dei tipi umani, per emendarli od incentivarle. Naturalmente bisognava riprodurre, fingendo, la realtà e per questo gli attori venivano appellati ipocriti o “ypokrites” per cui il lavoro veniva ritenuto non degno delle donne e pertanto gli uomini dovevano  recitare pure le parti femminili con le maschere, finché il Re Enrico VIII non scoprì l’inganno nel “Globe Theater” aperto dal “bardo “ di Avon in legno a Londra e consentì alle donne di recitare. D’altronde nel XVI secolo eravamo nell’età di passaggio dagli “Zanni” e dalle maschere del “carro di Tespi” alla commedia dei tipi e singoli caratteri individuali voluti  dal “Re Sole” Luigi XIV con la “ Comediè Francaise ” e l’avvocato Carlo Goldoni con le numerose composizioni in dialetto veneto,  in italiano ed infine in francese. Insomma una vasta gamma di testimonianze archeologiche, frammenti di opere e busti di autori greci e latini, ricostruzione plastica di teatri ellenici ed africani, asiatici, edificati dai Romani secondo la struttura tipica della “cavea”, per il popolo con i gradoni in marmo, l’orchestra e la scena , sono state collazionate con dovizia ed ingente ricerca di minimi particolari all’Ara Pacis a cura di Zetema , che ha inaugurato il coinvolgente allestimento per gli amanti della cultura classica e dei teatrofili il 21 maggio sul finire della stagione primaverile al chiuso degli spazi culturali. Non manca nulla in codesto straordinario quadro storiografico ed umanistico, letterario, del teatro, con  un’impressionante serie di  maschere in terracotta dalle mille espressioni posturali ed anagrafiche nella civiltà greca insieme alle erme di Aristofane e Menandro , di cui si possono leggere alcuni passi ed insegnamenti delle loro produzioni, più sociali e politiche quelle del primo e caratteriali  le altre del secondo vissuto nel tempo ellenistico, con raffigurazioni di etere e “lenoni” che oggi corrispondono ai “papponi” e protettori. Allorché i Romani nel  146 a. C. distrussero Corinto e Cartagine la tradizione culturale greca passò nell’orbita repubblicana quirite e da lì si trasmise anche al meridione contaminandosi con la civiltà folkloristica osca ed atellana sannita e cilentana, di cui nella mostra rinveniamo led maschere di Pappus il mangione, Maccus ovvero lo sciocco e Buccus il cosiddetto beone, ma vicino a loro vi sono pure le botteghe degli artigiani che costruivano le maschere. Le tragedie presero il nome di “pretextae” e le commedie di “togatae” quelle che ancora oggi   vestono avvocati e magistrati nell’esercizio delle loro funzioni forensi, ora  in aperta discussione ideologica tra i due schieramenti parlamentari per il Disegno di Legge Nordio  ex procuratore a Venezia.  Dei video permettono di vedere alcune scene delle commedie, mentre su un palco in uno spazio ristretto in un angolo osserviamo una scena tipicamente classica. Tutto ciò viene  da ultimo rapportato al Novecento con le drammaturgie di Scarpetta ed Eduardo De Filippo, di cui scorriamo visualmente alcuni tratti del capolavoro “Natale in casa Cupiello”, si osservano cimeli di monete con l’emblema di personaggi tipici ed una grande raccolta di foto, pagine autografe e splendide esemplificazioni di due teatri prima d’uscire dalla sala sottostante l’Ara di Augusto. Perenni rimangono gli istinti e le contraddizioni psichiche, le sensazioni e le passioni dell’animo umano, che già il dramma antico aveva individuato ed esaminato sulla scena, passando dal desiderio di pace di Aristofane per il conflitto decennale tra Atene e Sparta con le guerre del Peloponneso fino al 404 – 403 successivamente all’età di Pericle, manifestato apertamente in “Lisistrata” e “Le donne in Parlamento”. Perciò fino al 3 novembre gli  appassionati della cultura potranno recarsi a Ponte Goldoni per visitare all’Ara Pacis con una straordinaria “full immersion” la bimillenaria storia estetica e filologica  degli attori e delle loro maschere, conoscere i profili ricostruiti antologicamente degli autori “maestri di vita”, i performer ed astri, talenti e stelle, della modernità contemporanea , ammirare le superlative strutture a partire da Bursa in Siria ed Apedosmos.

Giancarlo Lungarini   

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