Il dramma muto e potente dei migranti nella cornice del carcere di Bollate

Data:

Dal 10 al 17 novembre 2017 al Teatro Carcere di Bollate

E’ certamente una regista che ama le sfide, Michelina Capato Sartore.
Una sfida è la direzione della cooperativa teatrale e.s.t.i.a. che dal 2006 svolge le proprie attività di produzione e laboratori con detenuti all’interno della Casa di Reclusione (sì, la prigione) di Milano Bollate, approfondendo le tecniche di teatro-danza e di uso della voce.
Si tratta di un carcere che rappresenta un riferimento europeo. Al suo interno si realizzano percorsi di inserimento in un ampio spettro di attività: tipografia, falegnameria, computer e video, panetteria e pasticceria, sartoria, floricultura. Dal 2015 inoltre è attivo il ristorante inGalera, accessibile su prenotazione da avventori esterni al carcere. Il lavoro teatrale della cooperativa teatrale e.s.t.i.a. poggia su un progetto educativo di reinserimento sociale coronato da successo, visto che le statistiche registrano una percentuale di recidiva più bassa della media (il 6%) fra chi ha seguito i corsi teatrali.

Come ci ha fatto osservare la regista, gli ambienti sociali di provenienza della stragrande maggioranza dei detenuti hanno offerto loro scarsissime possibilità di affermazione. Per questo, più che offrire una “seconda possibilità”, il teatro è uno dei percorsi di formazione che rappresentano la prima concreta chance di inserimento positivo nella società.

Ormai reteLa seconda sfida è stata produrre in pochi mesi lo spettacolo Ormai interamente senza parole. Affidato ai gesti, ai rumori, alle musiche. (Non poteva certamente sfuggire questa insolita ambientazione teatrale ad Alberica Archinto e a Rossella Tansini, curatrici della rassegna Stanze, rappresentazioni teatrali in luoghi non convenzionali: case private, musei e  case-museo, studi professionali, legali e di architetti, laboratori, magazzini. In questo caso, una casa di reclusione).

Gli attori protagonisti di Ormai sono sette: quattro uomini ora in carcere e un ex detenuto, mentre i due personaggi femminili sono attrici esterne. I costumi, realizzati da due studenti del corso di Fashion Design dello IED, sono di estrema sobrietà. Suggeriscono una nudità disadorna, ma, utilizzando anche accessori ortopedici come ad esempio fasciature e cavigliere, rimandano alle ferite esistenziali dei protagonisti. (Alcuni degli attori esibiscono con orgoglio fisici statuari, suscitando più di un pensiero tra il pubblico femminile).

L’ampia sala teatrale che accoglie lo spettacolo è stata realizzata dai detenuti stessi. In un grande ambiente quadrato, rappresentazione del mare, cinto da grandi reti da pesca che assumono via via i significati più svariati, sette migranti dividono il ristretto spazio di un barcone. Non pronunciano parola, affidando il racconto a gesti di rara e costante armonia. Si narra di migranti, di disperazione, di vite difficili e sofferte.

(Abbiamo chiesto alla regista, Michelina Capato Sartore, come fosse riuscita a ottenere da ciascuno degli attori movimenti così precisi e calibrati. “In realtà” ci ha risposto “il vero lavoro del laboratorio di teatro-danza è stato far emergere da ciascuna persona i movimenti più naturali, secondo i propri ritmi interiori”).

Si susseguono scene di vita, ordinarie e drammatiche, con il solo corredo scenico delle reti con cui giocare, fustigare, imprigionare. Oppure rappresentare l’abito da sposa di un matrimonio in mare, che non avrà luogo per il rifiuto dello sposo.

La lunga convivenza sul barcone fa emergere i comportamenti più cupi e dolorosi. Lo sfruttamento delle posizioni di potere per ottenere servigi. Ma anche il flagello degli stupri. La morte di un migrante, con le braccia in croce di un Cristo moderno e disperato. Il parto drammatico di un bimbo che avrà una rete per culla.
A tratti suoni di sirena scandiscono il tempo, riportando tutti alle posizioni di scena originarie.
A turno tutti finiscono imprigionati nella propria rete individuale, metafora della impossibilità di uscire dai limiti delle nostre visioni. Alla fine dello spettacolo, una nuova rete, grande e fitta cala come parete divisoria tra il pubblico e le esistenze disperate dei migranti.
Gli applausi al termine dello spettacolo sono il riconoscimento sincero di una prova di grande intensità fisica ed espressiva.

Guido Buttarelli

Ormai
produzione TEATRO IN-STABILE @ II Casa di Reclusione di Milano – Bollate
regia e scene di Michelina Capato Sartore
con Mattia Archinito, Carlo Bussetti, Lorenza Cervara, Antonio De Salve, Christian Flore, Paola Manfredini, Salvatore Piscitelli
costumi di Serena Andreani e Enrico Del Corno
tecnici Erasmo Marino e Cristian Stepich

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