Intervista a Giampaolo Morelli: Un Bravo Ragazzo al Teatro Douze

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Pubblichiamo questa intervista di Flavia Severin a Giampaolo Morelli, realizzata il 28 novembre 2015

Parlami un po’ di questo teatro. Mi pare di capire che sia tuo e di alcuni amici soci, e che vi esibiate un po’ tutti con pezzi diversi, giusto?

L’idea era proprio questa. Uno spazio dove gli attori potessero sperimentare in modi diversi e che fosse a disposizione di amici e soci che gravitano in questo mondo come Gianluca Ansanelli, che è sceneggiatore, cabarettista e regista. Ha girato di recente un film che si chiama “Troppo Napoletano” e in precedenza uno di Siani che ha scritto lui.

E poi ci sono anche Barbara Foria di Colorado e Gianmarco Tognazzi, proprio da cui prende il nome Tognazza al Douze, perché la Tognazza è la casa vinicola fondata da suo padre Ugo.

Giampaolo-Morelli_Corriere_dello_SpettacoloInsomma l’idea era quella di creare uno spazio, dove poter sperimentare, principalmente spettacoli ironici o comici come il cabaret.

In particolare adesso vorrei chiederti del tuo libro “Un Bravo Ragazzo” di cui ci hai letto degli estratti stasera, è autobiografico?

E’ autobiografica la sensazione dell’adolescenza, perché secondo me questa è forse la fase più complicata della vita. Poi  ci sono quelli che dicono “io ero felicissimo quando ero adolescente”, ma sono pochi e di solito sono quelli che erano “fighi” da adolescenti e oggi sono sfigati. Vedo l’adolescenza come una fase difficile della vita soprattutto per un ragazzo ancor più che per una ragazza, perché noi abbiamo anche gli ormoni impazziti a quell’età. E voi ragazze potete rimediare, i ragazzi invece no perché hanno il problema che non vengono minimamente calcolati dalle coetanee, perché voi guardate quelli più grandi. Resta comunque una fase complicata per tutti, ma per i maschi secondo me c’è qualche disagio in più.

Chi vede questo spettacolo mi dice “che bello!”, cioè “che divertente! Mi hai fatto rivivere un sentimento dell’adolescenza”, quindi direi che è autobiografica la sensazione, ma non la storia.

E come mai tra tutti i temi divertenti hai scelto proprio quello dell’adolescenza?

Perché l’avevo a cuore. Volevo scrivere un libro che parlasse di qualcosa di intimo. A differenza del mio secondo libro, che è più una commedia romantica, questo è più intimo. Probabilmente il primo argomento di cui scrivi attinge di più alle tue sensazioni.

Cambiando discorso invece, come mai c’è una parte in cui fai il mago?

Questa parte è autobiografica, però mentre Raimondo fa i giochi di magia a 16 anni, io avevo 13 anni quando imparai. L’ho inserita, perché mi appartiene. Poi a 13 anni fai il “mago”, ma non è che ti esibisci, per quale pubblico? Giusto per gli amichetti. Se hai questa passione per i giochi di prestigio – che poi in realtà per me è anche una scusa per divertirmi con il pubblico piuttosto che per fare un gioco in sé –  diventa una buona idea da usare in uno spettacolo.

Quanto conta il pubblico in uno spettacolo del genere?

Come in tutti gli spettacoli, anche in uno drammatico, senti se il pubblico è partecipe o no. E’ chiaro che in uno spettacolo comico te ne rendi conto subito se sta andando bene o male. Senti se l’aria è frizzante o meno, se ridono insomma, ma anche per uno spettacolo drammatico, conta il pubblico. Sempre.

E ti è mai capitato che il pubblico non reagisse come ti aspettavi?

No. E comunque ogni pubblico ogni sera è diverso. Non lo dico solo io, ma tutti quelli che fanno teatro. Anche per un semplice reading puoi sentire che è diverso: cambiano i momenti delle battute, ma cambi anche tu. Io ogni sera mi esibisco in modo diverso. Delle sere sono più sulla storia, in altre invece mi piace di più coinvolgere il pubblico. Quindi è uno spettacolo che cambia sempre, anche se poi uno lo vede e non se ne accorge, pensando sia sempre lo stesso. I toni e gli accenti possono essere diversi, e di conseguenza cambiano le reazioni del pubblico. Poi ci sono delle serate in cui il pubblico magari ride su delle battute un po’ più inaspettate e altre in cui invece sai già dove riderà.

Non ti è mai capitato che il pubblico non reagisse come ti aspettassi per cui “Panico non stanno ridendo”, almeno quando eri ancora all’inizio della tua carriera, alle prime armi?

In generale no, però va beh può sempre succedere. Magari, c’è una distrazione in sala, c’è un rumore, o uno che si alza in sala e deve andare in bagno e t’ha fatto perdere una battuta perché ha fatto rumore. E lì vai avanti, nessun attore si ferma mai, lo spettacolo va sempre avanti, anche se hai un vuoto di memoria. In questo caso era un reading per cui non ci può essere un vuoto di memoria, ma capitano sempre degli imprevisti e se poi c’è una serata negativa, amen! Magari poi tu hai una percezione molto negativa, ma in realtà per il pubblico non è così, anche se ci sono state meno risate, comunque la storia li ha coinvolti.

Un grazie a Giampaolo, per l’intervista concessa al Corriere e in bocca al lupo per i tuoi prossimi lavori!

Per maggiori info sul Teatro:

Teatro Douze
Via del Cipresso, 12 – Roma
www.teatrodouze.it

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